Curzio Malaparte venne arrestato verso la mezzanotte del 6 ottobre 1933 a Roma. Si era da poco ritirato nella elegante e confortevole stanza dove alloggiava presso l'hotel Belsito nella centralissima via Ludovisi. Era appena giunto nella capitale rientrando da un lungo soggiorno in Francia ed era reduce dal successo internazionale di Tecnica del colpo di Stato. Venne subito tradotto, mentre cominciava ad albeggiare, nel carcere di Regina Coeli. L'uomo - il cui nome era legato alla stagione «strapaesana» e rivoluzionaria del fascismo e alla sua rivista La Conquista dello Stato oltre che a libri di successo - si ritrovò, così, rinchiuso in una poco piacevole cella, in preda allo sconforto e a interrogativi angosciosi sul suo futuro. Non gli era stato comunicato il motivo del provvedimento e l'arresto era stato per lui un fulmine a ciel sereno anche se, per la verità, qualcuno dei suoi amici e corrispondenti, appresa la sua intenzione di ritornare in Italia, lo aveva avvertito che da quelle parti non spirava una buona aria.
Tornando in Italia, Malaparte sperava di ottenere da Mussolini qualcosa che lo ripagasse del brusco licenziamento dalla direzione del quotidiano La Stampa, avvenuto qualche tempo prima. Ma si illudeva. Il giudizio di Mussolini nei suoi confronti, a parte il riconoscimento sul suo contributo alla «cultura della rivoluzione», non era entusiasmante. Lo considerava, come avrebbe detto anni dopo, un uomo che «si rifugia nella critica al sistema, nel rimpianto dei bei giorni dello squadrismo». Ma soprattutto lo riteneva una malalingua e un arrivista: «Il servizio di leva della maldicenza non lo scarterà mai. Passa di protezione in protezione. (...) Malaparte sarà sempre al servizio di se stesso».
Già amico di Italo Balbo col quale però era finito in rotta, Malaparte aveva raccolto voci di un presunto complotto contro Mussolini ordito proprio dal «Maresciallo dell'Aria», che avrebbe cercato, senza peraltro ottenerla, la collaborazione di Emilio De Bono e Dino Grandi. Aveva quindi scritto nell'estate del 1932 alcune lettere a Nello Quilici, il collaboratore più stretto di Balbo, contenenti alcune insinuazioni pesanti: «Balbo è notoriamente ingrassato e non solo dal punto di vista fisico. Nel suo rivoluzionarismo non credo. Italo ha in sé la stoffa del tiranno di provincia. Basta con i complotti balbiani. La stoffa di Catilina non ce l'ha consiglialo a mutare atteggiamento, prima di tutto nei riguardi di Mussolini, e poi nei riguardi di coloro che, come me, non hanno nulla da rimproverarsi. Si accontenti di quello che ha e non cerchi altro». La reazione di Balbo fu immediata: una denuncia al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per aver «svolto attività antifascista all'estero».
Circa un anno dopo questi fatti, ai quali probabilmente egli non pensava nemmeno più, Malaparte, appena rientrato in Italia, venne arrestato. Balbo aveva richiamato l'attenzione del Duce sulla denuncia e aveva preteso che ad essa fosse dato corso. Lo scrittore venne condannato per la più lieve accusa di «diffamazione di ministro in carica» a cinque anni di confino da scontarsi a Lipari. Era la fine di novembre del 1933.
Nell'ultimo fascicolo della rivista Nuova Storia Contemporanea (Le Lettere editore), in uscita la prossima settimana, lo storico Giuseppe Pardini pubblica un gruppo di lettere scritte, durante il periodo del confino, da Malaparte a Telesio Interlandi dalle quali si evince chiaramente che fu proprio quest'ultimo, in seguito divenuto tristemente famoso come direttore del periodico La difesa della razza, a intervenire presso Ciano e Mussolini in favore dello scrittore. Per quanto non ricoprisse cariche politiche o istituzionali, Interlandi era un giornalista considerato molto vicino a Mussolini. Dirigeva il quotidiano romano Il Tevere e, a partire dall'estate 1933, anche la rivista letteraria Quadrivio che ebbe come vicedirettore Luigi Chiarini e redattore capo Vitaliano Brancati e sulle cui pagine apparvero firme importanti della letteratura, da Vincenzo Cardarelli a Corrado Govoni, da Enrico Falqui a Francesco Jovine, da Carlo Bernari ad Alberto Moravia.
Malaparte, che nel confino di Lipari attraversava una fase di sconforto, accettò ben volentieri l'invito di Interlandi a collaborare. Il 20 luglio 1934 gli inviò da Ischia, dove nel frattempo era stato trasferito, «quattro liriche liparote» e precisò: «Ho creduto bene di iniziare la mia collaborazione a Quadrivio con delle liriche, che sono, o mi sembrano, meno impegnative, e meno compromettenti, dal lato, diciamo così, politico». Nella stessa lettera Malaparte lo ringraziò per avergli fatto ottenere il trasferimento del confino da Lipari a Ischia: «Qui, almeno, respiro: l'aria è ottima, abito in una casetta rustica al margine della pineta e non fa molto caldo. Mi sento, caro Interlandi, rinascere. E debbo tutto questo a te, perché sei stato tu a interessare della mia nuova situazione Galeazzo Ciano. (...) La mia immensa gratitudine per il Duce e per Galeazzo Ciano non diminuisce, caro Interlandi, la mia viva e affettuosa riconoscenza per te. (...) Non sto a fare molti discorsi: quello che è il mio stato d'animo nei tuoi riguardi lo capisci da te. Tu mi hai fatto un dono inestimabile, che io non potrà ricambiare che con un affetto e una gratitudine di fratello».
Dopo aver ottenuto da Ciano un nuovo segnale di benevolenza - il trasferimento da Ischia a Forte dei Marmi - Malaparte il 9 giugno 1935 si rivolse ancora al ministro della Propaganda per chiedergli l'abolizione dell'«umiliante qualifica di confinato». Si trattava di una vera e propria domanda di grazia con la quale egli faceva atto di sottomissione, si impegnava a «non venire a Roma, neppure per un giorno» e assicurava che sarebbe rimasto a Forte dei Marmi in un «periodo di quarantena» fino a quando non fosse stato giudicato «meritevole di riprendere» la sua «libera attività di scrittore». Copia di questa supplica Malaparte la fece avere, in via riservatissima attraverso sua madre, a Interlandi perché questi potesse appoggiarla. La richiesta di Malaparte venne accolta il 19 giugno 1935. Ed è proprio di quello stesso giorno la lettera di ringraziamento a Interlandi: «la notizia della mia liberazione mi è giunta così improvvisa e a così poca distanza dall'invio della mia lettera, che ne sono ancora un poco trasecolato. Non so più da che parte rifarmi. Ma una cosa non dimentico, in tutto questo trambusto, caro Interlandi: e cioè scriverti e ringraziarti. Tu mi porti fortuna, ne sono assolutamente convinto. E te ne sono grato perché la fortuna che mi porti nasce dalla tua buona volontà, dalla tua amicizia, dal tuo sentimento di generosità».
Le lettere di Malaparte a Interlandi aprono una finestra sullo stato d'animo e sulle condizioni fisiche dello scrittore toscano durante il periodo del confino, sulle sue preoccupazioni economiche, sulla sua difficile ripresa di attività pubblicistica, consentitagli prima sotto pseudonimo e poi finalmente con la sua firma. Si tratta, quindi, di lettere importanti che aggiungono un tassello alla biografia di Malaparte e, soprattutto, perché rivelano l'esistenza di un rapporto con Interlandi: un rapporto di cui non v'era traccia - fatto salvo qualche labile cenno che dava conto più di polemiche politico-letterarie che non di amichevoli sentimenti - nei volumi dedicati ai due intellettuali. Le lettere in questione, come racconta Pardini, sono state ritrovate nell'archivio privato del giornalista Tommaso Chiaretti, amico di Palmiro Togliatti, critico teatrale dell'Unità, poi uscito dal Pci dopo i fatti d'Ungheria. Erano conservate in una grande busta con l'intestazione del quotidiano comunista. Una circostanza, questa, che lascia aperta la porta a ipotesi diverse sia sulla provenienza delle lettere sia su una possibile loro utilizzazione giornalistica per screditarne l'autore dal punto di vista politico.
Malaparte, nel dopoguerra, soprattutto dopo il successo di Kaputt e di La pelle, era tornato a essere un principe delle lettere e del giornalismo, amato dal pubblico ma anche invidiato da colleghi ed ex amici. Il suo nome, insomma, era tornato popolare. A differenza di quello di Interlandi, finito nel dimenticatoio per il suo passato razzista e considerato giornalista maledetto; e ciò anche se - come ha mostrato Giampiero Mughini in un bel volume - egli fu protagonista tutt'altro che marginale della vita culturale e intellettuale della Roma degli anni Trenta. I due, comunque, erano molto diversi e certamente non amici, come invece sembrerebbe da queste lettere.
È indubbio, però, che Interlandi si mostrò generoso nei confronti di Malaparte anche se, considerati i suoi rapporti con Mussolini, tale generosità potrebbe essere letta - forse - come un sotterraneo segnale di benevolenza del Duce nei confronti di un uomo, Malaparte appunto, sul quale aveva molte riserve, soprattutto umane e politiche, ma che tuttavia apprezzava.
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