La foto che campeggia nella copertina di Ragazzo in fiamme (Einaudi, traduzione di Cristiana Mennella, pag. 1006, 24 euro), l'imponente biografia e saggio critico di Paul Auster dedicato a Stephen Crane, mostra quest'ultimo in posa e, come dire, in divisa da corrispondente di guerra: stivali, fondina con tanto di pistola, cappello a larghe tese, pantaloni e giubba di tipo militare, un fisico magro, un volto sottile, un accenno di baffi. Crane ha 26 anni ed è in Grecia per seguire la guerra greco-turca che a fine Ottocento vede le potenze del Vecchio continente impegnate, attraverso un gigantesco blocco navale, a far sì che la ribellione di Creta all'impero ottomano non divampi nei Balcani. Seduto con le gambe accavallate su un muricciolo di pietra, Crane sfida spavaldo l'obiettivo, ma se lui è in carne e ossa, più ossa che carne, per la verità lo sfondo è finto, ricavato in uno studio fotografico di Atene ed è difficile dire se stia prendendo in giro sé stesso o il pubblico dei suoi lettori, il giornalismo di guerra o la guerra stessaDue anni prima, con Il segno rosso del coraggio, aveva scritto il più impressionante e realistico romanzo di guerra senza aver mai messo piede su un campo di battaglia, ma, come osserva Paul Auster, se lì in Grecia ebbe il suo battesimo di fuoco, «un tuffo a capofitto», alla fine «imparò quello che già sapeva prima di arrivare lì. L'unica differenza -una grossa differenza, però- era che adesso lo aveva visto con i suoi occhi». Per dirla con lo stesso Crane: «La guerra non è né sublime né squallida; è semplicemente vita e una manifestazione della vita ci può sempre sfuggire. Non possiamo mai raccontare la vita, anche se a volte pensiamo di esserne capaci». Letti a un secolo di distanza, i suoi racconti militari elaborati dalle corrispondenze dal fronte (Ferite nella pioggia, pubblicato da Castelvecchi con la traduzione e la cura di Fabrizio Bagatti comprende tutti quelli della guerra ispano-americana) rimangono esemplari per profondità psicologica e modernità stilistica e, da Hemingway a Mailer, ci spiegano quanto la letteratura novecentesca d'oltre oceano gli sia debitrice.
Ragazzo in fiamme rimanda nel titolo all'esistenza bruciante e bruciata che di Crane fu propria, un esordio fulmineo, un pugno d'anni, letteralmente, di produzione letteraria, romanzi, il già citato Il segno rosso del coraggio, ma anche le novelle Maggie ragazza di strada e Il mostro, racconti, La scialuppa su tutti, poi L'hotel azzurro, ma per lo più racconti brevi, poesie; una vita perennemente in fuga: dalle autorità, dai creditori, dai debiti; un'esistenza bohémienne, una conoscenza di prima mano dei bassifondi newyorkesi, una moglie di fatto, ma mai sposata e nel cui passato c'era anche la gestione di una albergo-casa di tolleranza, un esilio inglese in un maniero più o meno diroccato, un continuo annaspare in un mondo editoriale e giornalistico che lesinava i compensi, tratteneva i manoscritti, non rispettava i contratti. Con pazienza certosina e amore sconfinato Auster riannoda i mille fili che riguardano Crane e in più, da scrittore avvertito qual è, ci offre esempi efficaci di come possa funzionare una macchina narrativa, del perché di questo o di quel personaggio nell'economia di un racconto, dell'uso di uno slang o di un linguaggio dialettale, dell'utilizzo attento del cromatismo, caratteristica principe del suo stile, ovvero la sinestesia: «Ogni suono attivava un colore della sua mente, ma anche emozioni in forma di colore e varie sfumature di pensiero».
Crane visse nel momento in cui gli Stati Uniti cominciavano ad affacciarsi sul mondo. Tra la morte di Lincoln, all'indomani della guerra di secessione e quella, sempre per assassinio, del presidente McKinley nel 1901, ci fu un lungo periodo di crescita e insieme di turbolenze e, sottolinea Auster, di «disfatta morale», intendendo con questo il disinvolto calpestamento di ogni regola etica. Da depresso e isolato il Paese assunse a potenza mondiale, «i cui leader erano però in gran parte buoni a nulla o corrotti o entrambe le cose, e i due grandi crimini che sono alla radice dell'esperimento americano -la riduzione in schiavitù dei neri africani e l'annientamento sistematico dei primi abitanti del continente, un'immensa gamma di culture raggruppate sotto la voce indiani- non furono mai affrontati nella maniera giusta né fatti oggetto di ammenda».
Sono gli anni in cui l'Ovest comincia a riempirsi di coloni bianchi, le città industrializzate di milioni di immigrati, cinesi e europei, i ricchi sono i cosiddetti robbers barons, ovvero i predatori della Gilded Age, l'età dorata, ferrovie, acciaio, petrolio, banche, ma anche l'età della depressione e del Panico di Wall Street del 1893, quando Crane ha ventidue anni, è in preda «all'esplosione creativa più intensa della sua vita e soffriva come tutta la città, dove la disoccupazione oscillava fra il trenta e il trentacinque per cento» e lui aveva «le tasche così vuote che per mangiare doveva arrangiarsi, spesso era vestito così miseramente che si vergognava a uscire» e il suo letto era una cassa porta carbone.
Per quanto lettore onnivoro, nonché giornalista precocissimo, grazie all'agenzia di stampa del fratello maggiore, Townley, Crane, come nota Auster, «trascorse gli anni di New York più fra i pittori che gli scrittori e imparò a scrivere guardando i dipinti oltre che leggendo libri». Gli artisti di allora si chiamavano John Singer Sargent, Winslow Homer, James Whistler e insomma era un'ottima scuola
In Ragazzo in fiamme, grande spazio è dato a Joseph Conrad, che fu il sostegno più forte di Crane quando questi decise di stabilirsi in Inghilterra dopo che New York gli era diventata irrespirabile: aveva testimoniato in un processo a difesa di una prostituta arrestata ingiustamente, l'amministrazione pubblica gliel'aveva giurata e la stampa connivente con il potere locale aveva intrapreso una campagna di stampa contro di lui: frequentatore di bordelli, soggetto politicamente esaltato, convivente more uxorio con donne di strada Di Conrad è una delle più belle definizioni della gioventù bruciata di Crane: «Il suo passaggio su questa terra fu come quello di un cavaliere che cavalca al galoppo nell'alba di un giorno destinato a essere breve e senza sole».
Quando si incontrarono, quello famoso era «il ragazzo Crane» e l'allora quarantenne Conrad aveva appena incominciato a pubblicare e senza troppo successo, eppure fu il primo che volle conoscere il secondo, segno evidente che quel poco che aveva pubblicato, La follia di Almayer, Il reietto delle isole, Il Negro del Narciso, non gli erano sconosciuti. Auster ritiene che sia in quest'ultimo, sia in Lord Jim ci siano i segni dell'influenza, che è una cosa diversa dall'imitazione, di Crane su Conrad, del Crane di Il segno rosso del coraggio, che poi altro non è, stando al suo stesso autore, se non «il ritratto psicologico della paura» Può darsi, ma più al fondo c'era quello che proprio Conrad definirà «profonde somiglianze del nostro temperamento»: erano due espatriati, erano entrambi stati studenti brillanti quanto dispersivi, il più anziano aveva tentato il suicidio alla stessa età in cui il più giovane aveva detto agli amici che il suo destino era breve e già segnato: «Non posso aspettare dieci anni per diventare famoso. Non ho tempo».
E' sperabile che Ragazzo in fiamme provochi, è il caso di dire, un ritorno di fiamma intorno a Crane nel nostro Paese.
Auster ha scritto questo saggio anche per toglierlo «dalle mani degli specialisti, degli studenti di letteratura, dei candidati al dottorato e dei cattedratici». Da noi sarebbe il caso di rimetterlo in mano ai lettori in una forma ragionata, se non completa, e non dispersa fra mille sigle editoriali, e che gli renda giustizia.
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