Colpo di scena sul processo "Ambiente svenduto" sulle emissioni velenose dell'ex Ilva: la Corte d'assise d'Appello di Taranto, accogliendo le richieste dei difensori, ha deciso di spostare il procedimento penale a Potenza, rendendo così nulle tutte le ventisei condanne in primo grado emesse a carico della famiglia Riva, ex proprietaria della fabbrica, dei dirigenti e di alcuni esponenti della politica locale e regionale. Tra gli altri anche per l'ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Il motivo è da addurre al fatto che i giudici tarantini - anche quelli togati e popolari che hanno emesso la sentenza di primo grado - sono da considerare come "parti offese" del disastro ambientale, ovvero vittime dello stesso reato che sono stati chiamati a giudicare, e quindi inserite in un contesto non sereno per il giudizio e che gli stessi giudici, vivendo nei quartieri delle parti lese.
Gli avvocati difensori - Giandomenico Caiazza, Pasquale Annichiarico e Luca Perrone - nelle prime udienze in Corte d'Appello avevano evidenziato come molti magistrati vivano negli stessi quartieri in cui risiedono numerose vittime che in primo grado hanno ottenuto il risarcimento. Non sono evidentemente bastate le repliche dell'accusa che, con i pubblici ministeri Raffaele Graziano, Giovanna Cannarile e Remo Epifani, insieme con il procuratore generale Mario Barruffa, avevano ricordato come una recente sentenza della Corte di Cassazione avesse espressamente chiarito che è da considerare parte di un processo chi sceglie di attivare un'azione di diritto: nessuno dei magistrati di Taranto lo ha fatto e quindi, non essendo parte del procedimento penale, non vi dovevano esserr i presupposti perché il processo venisse spostato. Tutte le sentenze vengono qundi azzerate: e così la maxi-inchiesta sul disastro ambientale generato dalla fabbrica rischia ora di finire nel calderone dalla prescrizione.
In primo grado, a maggio 2021, vennero inflitte ventisei condanne (tra dirigenti della fabbrica, manager e politici) per 270 anni complessivi di carcere. La Corte d'Assise dispose inoltre sia la confisca degli impianti dell'area a caldo sia la confisca per equivalente dell'illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici per una somma di 2,1 miliardi di euro. Tra gli elementi principali, spiccava la condanna, rispettivamente a 22 anni e 20 anni di reclusione, per Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva, che rispondevano di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
Dall'inchiesta giudiziaria che a luglio 2012 portò al sequestro degli impianti siderurgico di Taranto per reati ambientali non nacque soltanto il processo "Ambiente Svenduto", ma anche il commissariamento dell'Ilva da parte dello Stato (avvenuto nel giugno 2013) e l'uscita degli allora proprietari e gestori, i Riva. Commissariamento che è ancora in atto sia in Ilva che in Acciaierie d'Italia, l'azienda intervenuta in seguito con la gestione del gruppo (entrambe le società sono in amministrazione straordinaria).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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