“L'ergastolo è da molto tempo ritenuto una pena inumana e degradante, il tributo che lo Stato di diritto paga all'ideologia della pena eliminativa e vendicativa”. Lo aveva detto nella sua arringa difensiva Giovanni Caruso, legale di Filippo Turetta, condannato ieri proprio all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023.
Ma da ieri, ovvero da quando la corte d’assise di Venezia si è pronunciata, parte dell’opinione pubblica si è interrogata sulla certezza della pena. La percezione in tal senso non è sempre positiva e nei casi di omicidio che maggiormente scuotono italiane e italiani si torna a discutere sul sistema carcerario, basato sulla riabilitazione, e sulla possibilità di introdurre il fine pena mai per particolari tipi di reati.
Nel corso della trasmissione Ore 14 è stato prospettato l’iter che potrebbe attendere Turetta. Il condizionale è d’obbligo, poiché non tutti i detenuti compiono questo discorso: molto dipende dalla valutazione del tribunale o del magistrato di sorveglianza.
In quest’ottica i primi permessi premio per Turetta potrebbero giungere a 10 anni dall’inizio della detenzione - il condannato ha già scontato un anno di custodia cautelare nel carcere di Verona Montorio - ovvero nel 2033, quando il 22enne avrà 32 anni circa. A 20 anni dal suo ingresso in carcere potrebbe essere invece possibile la semilibertà, nel 2043, quando Turetta avrà 42 anni. Infine la liberazione condizionale potrebbe arrivare dopo 26 anni di detenzione, nel 2049, quando avrà 48 anni. Quindi quanti sostenevano che Turetta avrebbe trascorso la vita dietro le sbarre si sbagliavano. Nel caso non dovesse beneficiare di tutto questo, comunque il fine pena sarà nel 2053.
Sulla questione si è pronunciato anche l’ex magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo, che in un’intervista a Radio 2 aveva così commentato: “Io mi sono più volte esposto anche nella mia contrarietà all'ergastolo, credo che in questo caso non ci fosse alternativa a questa pena. Il problema semmai, come dice Gino Cecchettin, è quello che noi perdiamo ogni volta. Non solo perdiamo la vita umana, ma perdiamo anche quando la giustizia arriva troppo tardi. Non abbiamo trovato un'alternativa ancora per questo tipo di reati, alla massima pena. È un reato che allo stato attuale del nostro ordinamento va punito con l’ergastolo”.
Gino Cecchettin, nell’incontro con la stampa a margine della sentenza, aveva infatti rimarcato la necessità di prevenzione nei femminicidi, ricordando come ieri ne uscisse sconfitta tutta la società: indipendentemente dalla pena comminata, Giulia Cecchettin è stata uccisa. Non si può tornare indietro.
L’ergastolo è giunto per Turetta con una sola aggravante tra quelle contestate, ovvero la premeditazione. Sono state respinte invece crudeltà e atti persecutori, ovvero stalking. In una storia su Instagram la sorella di Giulia Elena Cecchettin ha così commentato la sentenza, che “non toglie nemmeno il dolore e l'ansia che ho dovuto subire io personalmente in quanto persona vicina a Giulia. Inevitabilmente le persone intime alla vittima vengono trascinate negli stati di ansia e turbamento. Chiaramente non sto insinuando che il dolore che abbia provato Giulia sia paragonabile, tuttavia è giusto ricordare che il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto anche alla famiglia della vittima.
Il non riconoscimento dello stalking (non parlo nemmeno dell'altra aggravante, perché si commenta da sola la situazione) è una ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne. Sei vittima solo se sei morta. Quello che subisci in vita te lo gestisci da sola. Quante donne non potranno mettersi in salvo dal loro aguzzino se nemmeno nei casi più palesi non viene riconosciuta una colpa”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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