"I sionisti non meritano di vivere", il delirante video dello studente Usa

Il delirio antisemita di uno dei leader della protesta pro-palestinese in corso alla Columbia University di New York ha scatenato una tempesta mediatica. Nonostante le scuse, molti chiedono un'inchiesta formale

"I sionisti non meritano di vivere", il delirante video dello studente Usa
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La deriva antisemita che sta rischiando di travolgere le università più prestigiose d’America ha segnato una ulteriore escalation. In un estratto da una diretta Instagram di qualche settimana fa, uno dei leader della protesta anti-israeliana in corso alla Columbia University aveva affermato senza mezzi termini che i “sionisti non meritano di vivere” e che dovrebbero essere grati che non sia “là fuori ad ucciderli”. La notizia, riportata dal sito Daily Wire, ha scatenato una serie di reazioni e un’inchiesta ufficiale da parte dell’amministrazione della prestigiosa università.

"Combatto per uccidere"

Il fatto che queste frasi siano state pronunciate da uno dei leader del cosiddetto Solidarity Encampment, la zona dedicata alle proteste anti-israeliane all’interno del campus della Columbia University, non ha fatto che rinfocolare le polemiche dovute all’atteggiamento lassista nei confronti di retorica potenzialmente violenta. Il video che riassume le dichiarazioni più esplosive della lunga diretta Instagram lascia davvero poco spazio alle interpretazioni. Khymani James, all’inizio dell’incontro online con rappresentanti dell’università dice senza giri di parole che “combatte per uccidere” e che non ha “alcun problema ad auspicare la morte di queste persone”.

Le dichiarazioni, peraltro, non sono affatto isolate, visto che il lungo articolo pubblicato dal Daily Wire ripercorre una lunga serie di uscite altamente discutibili che si sono susseguite dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre, tutte all’insegna del confronto anche armato nei confronti dei sostenitori dello stato di Israele. Penso che in certi casi togliere la vita a qualcuno sia necessario e positivo per il bene comune. I sionisti non meritano di vivere. Come non abbiamo problemi a dire che i nazisti non meritano di vivere, come i fascisti o i razzisti, i sionisti non dovrebbero vivere su questa terra. Siate grati che non sono là fuori ad ammazzare i sionisti”. Un delirio antisemita che sembra chiaramente un’incitazione alla violenza e all’odio razziale, reato perseguito pesantemente dalla legislazione statunitense.

“Frasi fuori contesto”

James era diventato popolare qualche giorno fa per essere tra gli organizzatori di una catena umana che aveva spinto fuori dal campus universitario studenti ebrei. Lo studente non è nuovo a sparate del genere, visto che nel 2021, a soli 17 anni, il Boston Globe gli aveva dedicato un articolo nel quale lodava i suoi “metodi diretti” di protesta, anche se più di una volta aveva detto di “odiare i bianchi”. Quando la retorica della dichiarazioni di James è andata oltre, al punto di giustificare apertamente l’omicidio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, le reazioni online sono state talmente virulente da indurlo ad una mezza marcia indietro.

James si è detto “dispiaciuto” per alcune frasi che ha detto, prendendosela contro gli “agitatori di estrema destra” che hanno fatto circolare le sue parole. “Quello che ho detto è sbagliato. Le frasi, però, sono state prese fuori contesto. Sono dispiaciuto che siano diventate una distrazione dal movimento per la liberazione della Palestina. Sono parole dette nella foga del momento, per le quali mi scuso”.

Khymani James Columbia

Alcuni utenti online hanno fatto notare come le scuse siano apparse insincere e come questo non è certo un’attenuante per dichiarazioni perseguibili per legge. Molti si domandano perché l’università, che era presente alla diretta in questione, non abbia preso provvedimenti disciplinari nei suoi confronti.

I più furibondi, però, sono molti ex alunni, che hanno già annunciato di aver cancellato le loro donazioni all’università. Questa polemica, insomma, potrebbe costare centinaia di milioni alla Columbia University.

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