Navi da guerra e basi missilistiche: scatta la trappola della Cina contro gli alleati Usa

La Cina sta aumentando la pressione su Australia e Giappone, i due partner principali degli Usa nel Pacifico, costringendo Washington a prendere adeguate contromisure

Navi da guerra e basi missilistiche: scatta la trappola della Cina contro gli alleati Usa
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Da un lato gli strani movimenti delle navi da guerra della Marina cinese, che di recente si sono spinte nei pressi dell’Australia dimostrando di poter circumnavigare (o circondare) l’intera isola. Dall’altro lato, e quasi in contemporanea, il preoccupante aumento del numero di basi militari dotate di missili in grado di colpire il Giappone. La Cina sta aumentando la pressione su Canberra e Tokyo, i due partner principali degli Usa nel Pacifico, costringendo Washington a prendere adeguate contromisure. Donald Trump ha tuttavia più volte lasciato intendere che i dossier più caldi nella propria agenda estera coincidono con la risoluzione della guerra in Ucraina e della crisi in Medio Oriente tra Israele e Hamas. Il Dragone è sempre il rivale sistemico numero uno della Casa Bianca ma per arginarlo, al momento e con buona di partner e alleati asiatici, il tycoon non intende andare oltre l’imposizione di nuovi dazi. Anzi, il presidente statunitense ha più volte messo in discussione (con una certa insofferenza) il peso economico dell’ombrello difensivo statunitense su Paesi lontani che non pagano adeguatamente per il servizio.

Le mosse della Cina nel Pacifico

La Cina, che ha la più grande Marina del mondo per numero di scafi con più di 370 navi, sta espandendo la propria presenza militare a livello globale, anche nell'Oceano Pacifico meridionale, sfidando il dominio navale degli Usa. La presenza navale cinese vicino alla costa occidentale dell’Australia, che si affaccia sull’Oceano Indiano, coincide con l’arrivo del sottomarino nucleare statunitense USS Minnesota, armato con missili da crociera e siluri, nella base navale australiana nell’Australia Occidentale il 25 febbraio. In quei giorni le navi cinesi hanno operato a 305 miglia nautiche a sud-est di Perth, la capitale dell'Australia occidentale.

Il gruppo, composto dal cacciatorpediniere CNS Zunyi, dalla fregata CNS Hengyang e dalla nave di rifornimento CNS Weishanhu, ha continuato a navigare al largo della costa meridionale della terraferma australiana verso ovest. L'ultima posizione le colloca all'interno della zona economica esclusiva (EEZ) australiana di 200 miglia nautiche al largo della sua costa sud-occidentale.

Come ha sottolineato Newsweek, resta da capire se le imbarcazioni di Pechino condurranno esercitazioni di fuoco vivo una volta raggiunto l'Oceano Indiano. Non solo: se osserviamo i loro movimenti su una cartina geografica notiamo come le navi del Dragone abbiano quasi idealmente circumnavigato l’Australia, lasciando intendere di poterla circondare proprio come accadrebbe a Taiwan in caso di un conflitto.

Il Giappone nel mirino

Il quotidiano giapponese Yomiuri Shimbun ha scritto che la Cina ha aumentato il numero di basi con missili in grado di colpire il Giappone. L'analisi, effettuata su immagini satellitari delle forze missilistiche cinesi dal Japan Institute for National Fundamentals, ha rivelato che il numero di basi missilistiche è aumentato nel corso di diversi anni.

Da ottobre 2020, sono state costruite nuove guarnigioni presso la 655 Brigata cinese nella provincia di Jilin. I missili balistici DF-17, che possono trasportare testate di scorrimento ipersonico difficili da rilevare, sono stati schierati nei nuovi siti. Un'immagine satellitare scattata nel gennaio 2024 mostra anche nuove strutture che hanno depositi di veicoli che possono parcheggiare un totale di 38 lanciatori di erettori di trasporto (TEL). I TEL che trasportano missili da crociera supersonici CJ-100 sono stati confermati presso la Brigata 656 nella provincia di Shandong dal 2019 circa.

"Il numero di missili

che sono altamente in grado di sfondare i sistemi di difesa giapponesi è aumentato sia in termini di qualità che di quantità", ha detto Maki Nakagawa, ricercatore del citato Japan Institute for National Fundamentals.

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