Alle 10:58 del 9 agosto 1945 un lampo di luce avvolse il cielo di Nagasaki. L’aeronautica statunitense aveva appena sganciato sul Giappone la seconda bomba atomica della storia. Morirono tra le 60 e le 80mila persone, senza considerare le malattie da radiazioni a lungo termine per altre circa 30mila. Alcuni superstiti stanno ancora soffrendo gli effetti di Fat Man, il “grassone” al plutonio 239, complementare al “ragazzino”, Little Boy, che devastò Hiroshima pochi giorni prima.
Oggi, 78 anni dopo, alle 11:58 in punto alcune camionette piene di nazionalisti hanno sfilato a velocità ridotta nelle strade principali di Tokyo. In mezzo al traffico, tra berline di lusso e taxi, esponenti di gruppi e gruppuscoli di estrema destra protestano contro l’“attentato” che, nelle intenzioni degli Stati Uniti, fu invece una mossa necessaria per porre fine ad una guerra, quella contro il Giappone, che altrimenti sarebbe potuta durare chissà ancora quanto. E con quanti morti. I morti, però, ci sono comunque stati. Per lo più civili, sia a Hiroshima che a Nagasaki.
Così, all’interno di furgoni bianchi e neri, gli ultra nazionalisti urlano frasi, intonano cori in decine di altoparlanti fissati sui tettini dei loro veicoli. L’effetto è quasi estraniante. Completano il quadro bandiere del Giappone e bandiere con il sole rosso, la Nihon No Kokki - che rappresenta il Paese e che, insieme al fiore di crisantemo e l'inno nazionale, costituisce il simbolo nazionale giapponese - sventolanti.
Quattro furgoncini accostano nell’ affollata Sotobori-Dori Avenue, nei pressi dell’incrocio che porta dritto all’ufficio del primo ministro Fumio Kishida. C’è violenza nelle parole, non nei gesti. La polizia, che presidia le zone più sensibili della città, come la Dieta (il parlamento) e l’ambasciata degli Stati Uniti, chiude la strada con una transenna e intima ai nazionalisti di spegnere gli altoparlanti, che dal canto loro proseguono nel loro intento. I passanti li ignorano, qualcuno si ferma incuriosito.
“Non c’è niente di nuovo. Protestano contro il passato, sfidano il nuovo corso del Paese”, commenta un impiegato in camicia bianca con la ventiquattrore nera. Un agente tira fuori una lunga asta con un microfono. Inizia a misurare i decibel. A Tokyo, infatti, è vietato superare un certo limite. E questo vale per tutti, dalle persone ai cantieri edili. L’uomo in divisa corre in su e in giù, si avvicina ai veicoli, stampa improbabili multe fra l’indifferenza dei nazionalisti. Il piccolo convoglio procede oltre. La vita quotidiana può riprendere.
Il ricordo di Nagasaki è ancora vivo, seppur il passato sembri sepolto da grattacieli nuovi di zecca e aziende dedite all’arte della fatturazione.
A Nagasaki neppure il maltempo (leggi: tifone) ha impedito la tradizionale celebrazione cittadina in memoria delle vittime del bombardamento atomico, per la prima volta al chiuso presso il centro congressi Nagasaki Dejima Messe. Shiro Suzuki, il sindaco della città distrutta e poi rinata, ha invitato gli stati possessori di armi nucleari a "mostrare coraggio" e liberarsi dai principi di deterrenza nucleare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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