Calcio, droga e affari. L'amicizia criminale e la scia di sangue nelle curve di San Siro

Asse tra tifo organizzato e malavita per controllare lo spaccio della coca

Calcio, droga e affari. L'amicizia criminale e la scia di sangue nelle curve di San Siro
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Comincia a essere un posto pericoloso, la «Curva» di San Siro. Non è mai stato, va detto, un posto di gente per bene: fin dalla sua nascita, il tifo organizzato delle due sponde, soprattutto la Nord interista, nasce ad opera di personaggi del tipo «non vorrei che sposasse mia sorella», e già la prima inchiesta per omicidio sui capiclan dei Boys nerazzurri (anno 1988, una vita fa) portò alla luce un sottobosco di pregiudicati e di violenti. Da allora, le cose sono andate sempre peggiorando, grazie all'indulgenza dei due club, e alla sudditanza di quasi tutti i giocatori (tra le poche eccezioni, Paolo Maldini: che ne pagò le conseguenze) verso lo strapotere dei boss del secondo anello.

Ma adesso scorre il sangue, e ci vanno di mezzo personaggi che in quel mondo hanno campato e fatto soldi. La fine dell'interista-ndranghetista Antonio Bellocco, pugnalato a morte l'altra notte, ha se non altro il pregio di avere un colpevole certo, l'amico Andrea Beretta (sul movente, facile prevedere l'arrivo di balle minimizzanti). Buio fitto invece sugli esecutori e i mandanti di altre esecuzioni decise nel mondo delle curve. Non si sa, e a questo punto non si saprà mai, chi spedì il 12 aprile 2019 due sicari in moto a sparare in testa a Enzo Anghinelli, veterano degli ultrà rossoneri, che miracolosamente sopravvisse, e tuttora giura di non avere idea di chi volesse spedirlo al Creatore. È buio fitto sull'ammazzamento tre anni dopo a Figino di Vittorio Boiocchi, leader della Nord, freddato con tre pallottole di fabbricazione ceca. In un'epoca in cui il delitto perfetto sembra non esistere più, tra celle telefoniche e impianti video, gli unici a farla franca sono i sicari degli ultrà.

Una spiegazione ufficiale di questi regolamenti di conti per ora non c'è, ma che tutto ruoti intorno al gigantesco giro di droga e di affari che ha per contesto le curve del Meazza non ci sono dubbi. Ci sono nomi che collegano direttamente questo mondo alla criminalità organizzata, ben da prima che sulla scena facesse la sua rapida ascesa Bellocco, il morto dell'altro ieri. Nomi come quelli di Nazareno Calajò, boss della Barona, le cui mire per impadronirsi del mercato sono note alla Digos da anni, e sono mire che proseguono anche ora che Calajò - ufficialmente assai malato - è rinchiuso a Opera al 41 bis. Sull'altra sponda a incarnare la mutazione del tifo in banda criminale è Luca Lucci, capo dei «Guerrieri» rossoneri, condannato per il pestaggio animalesco dell'interista Virgilio Motta, e poi arrestato per narcotraffico dal pool Antimafia. Da Motta il salto è breve per arrivare a Giancarlo «Sandokan» Lombardi, padre fondatore della curva rossonera, che negli anni Dieci la Procura incrimina per associazione a delinquere finalizzata all'estorsione: vittima dei ricatti, la società A.C. Milan, la stessa che garantisce da sempre agli ultrà il controllo della Sud. «Alcune indagini hanno documentato l'esistenza di rapporti non occasionali non solo tra esponenti delle tifoserie organizzate delle squadre di calcio e soggetti appartenenti ad organizzazioni di tipo mafioso, ma anche tra esponenti delle tifoserie ed appartenenti a gruppi eversivi», spiega il capo della Procura milanese, Marcello Viola.

Le due curve, un tempo rivali, oggi sono accomunate da rapporti di alleanze e di affari (che si prolungano fino a Torino,

nella curva malavitosa della Juve). Il mercato è florido, c'è spazio per tutti, ma allora perché ricorrere alle pistole? La spiegazione più ovvia: troppa coca, troppo rap, troppa impazienza. Ma chissà se basta a capire tutto.

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