"Mille euro se li uccidi". Così Manuel e Riccardo massacrarono la coppia

Una notte del gennaio 2017 i coniugi Vincelli vengono barbaramente uccisi. Le indagini conducono a due sospettati: il figlio 16enne della coppia e il suo amico. Ma perché tanta crudeltà? Risponde l’esperto

"Mille euro se li uccidi". Così Manuel e Riccardo massacrarono la coppia

Il giallo dell'omicidio di Ferrara inizia come tanti casi di cronaca nera. Siamo a Pontelangorino in provincia di Ferrara. La luce blu di una sirena illumina il cancello di una villetta. I carabinieri circondano l’abitacolo della volante mentre i vicini, incuriositi, si affacciano alle loro finestre. A dare l’allarme è stato un giovane di appena 16 anni: ha chiamato i soccorsi quando ha trovato i cadaveri dei genitori. C’è sgomento nella zona e apprensione verso quel ragazzo di colpo divenuto orfano. I pareri si ribaltano quando, appena due giorni dopo le indagini capovolgono la situazione: la vittima diventa il principale indiziato e assieme a lui l’amico quasi coetaneo. Ma cosa è successo davvero?

Le prime luci dell’alba

Facciamo un passo indietro. È la notte tra il 9 e il 10 gennaio 2019, sono circa le 4 del mattino e Salvatore Vincelli, di 59 anni, e la moglie 45enne Nunzia di Gianni, entrambi ristoratori, stanno dormendo nella loro stanza da letto. A un tratto un rumore nel buio tronca il silenzio e una presenza inquietante entra di soppiatto nella camera da letto. L'omicida ha con sé un’ascia che userà per uccidere brutalmente i due coniugi.

Il giorno dopo, il figlio adolescente della coppia, Riccardo Vincelli, chiama prima i vicini e poi il 112 per segnalare che i suoi genitori sono riversi a terra martoriati e non danno alcun segno di vita. Immediatamente si precipita sul posto una volante e i carabinieri effettuano i primi controlli.

L’uomo si trova in garage, ha evidenti ferite sulla nuca e un sacco di plastica che gli copre il viso e gli avvolge il collo. La donna si trova in cucina, anche lei ha della plastica sulla testa e presenta ferite simili. La tranquilla villetta di Pontelangorino si trasforma immediatamente in una scena del crimine. Arriva la polizia scientifica e sul cancello dell'abitazione viene affisso il documento di sequestro per avviare le indagini. Nel frattempo, il sedicenne viene portato in questura per essere interrogato sui fatti. Il giovane dice subito di essere stato dalla mattina fino a dopo pranzo a casa del suo migliore amico e che solo al suo ritorno aveva fatto la macabra scoperta.

Nel frattempo le analisi e il sopralluogo danno delle risposte: i coniugi Vincelli sono stati uccisi entrambi con dei colpi d’ascia in testa. Il 59enne con tre, la moglie con sei. Si sospetta immediatamente una rapina andata male, ma tante cose non quadrano. Per esempio il fatto che la casa sia tutto sommato in ordine, che non ci siano segni di effrazione e che sembra non mancare niente.

Gli inquirenti, a questo punto, pensano che la coppia doveva conoscere l’aggressore perché la porta era stata aperta da dentro, quindi il profilo del criminale è sicuramente una persona di fiducia. Gli uomini dell’Arma chiedono nuovamente al ragazzo di raccontare la giornata dell’omicidio e Riccardo risponde, anche infastidito, di aver già detto di aver dormito dall’amico dove ha trascorso metà giornata. I militari si guardano tra loro e gli sottolineano che durante l’ultimo incontro non aveva parlato di alcuna notte. Gelo nella stanza. Il giovane chiede di poter prendersi una pausa, non sa che nel frattempo l’amico, Manuel Sartori, di un anno più grande, è sotto interrogatorio.

In caserma i due giovani si incontrano e si appartano, noncuranti del fatto che la stanza sia piena di microfoni e telecamere. Uno sussurra:“Ti sei cambiato i calzini?”, l’altro risponde: “Sì, ne avevo messo uno sopra l’altro”. Sono nervosi e si chiedono a vicenda a quali domande abbiano risposto. Uno dice: “Mi hanno chiesto dove siamo stati, cosa abbiamo fatto, se avevo la febbre. Tranqui”, e l’altro:“Quindi, tutto quello che ci eravamo detti prima? Oh, mi raccomando non tradirmi”.

I carabinieri varcano la soglia e il loro atteggiamento nei confronti di quelli che sembravano due minorenni innocenti cambia. Le domande diventano più incalzanti, la verità la conoscono già ma devono tirarla fuori da una delle due bocche. Dopo ore sotto il riflettore della lampada accusatoria i due confessano: mesi prima Vincelli aveva promesso a Sartori mille euro se avesse ucciso i suoi genitori e per dimostrare la serietà del patto gli aveva dato un anticipo di 80 euro.

La confessione

Come fosse il protagonista di un thriller, Manuel era entrano nella casa con le chiavi dell’amico e, introdotto nella camera, aveva colpito più volte i due adulti. Poi aveva infilato un sacchetto di plastica sulle loro teste con il doppio fine di non lasciare tracce durante lo spostamento dei corpi e di camuffare un furto. A quel punto, però, Manuel non era riuscito a finire il lavoro da solo perché i corpi erano più pesanti di quanto immaginava, quindi aveva chiesto una mano a Riccardo.

Forse l’idea originale era quella di occultare i cadaveri e sbarazzarsi di ogni prova, ma poi avevano cambiato idea. Compiuto l’atto, erano usciti, attenti a non lasciare impronte, si erano liberati dei loro vestiti insanguinati e dell’arma gettandola in un canale nei pressi di Caprile.

Da mesi avevano studiato quell’omicidio perfetto ma gli autori, che ai tempi erano solo dei ragazzini, non avevano previsto che i loro stessi errori avrebbero potuto tradirli. Riccardo, che all’epoca dei fatti era ancora minorenne, viene portato al carcere minorile di Torino. L’accusa è duplice omicidio premeditato, aggravato da futili motivi. Per quel gesto pieno di rabbia il giudice di primo grado dà 18 anni confermati in Corte d’appello con rito abbreviato. La stessa pena per Manuel, portato inizialmente al Pratello di Bologna.

Riccardo Vincelli insieme al padre Salvatore
Riccardo Vincelli insieme al padre Salvatore

Perché tanto odio?

Il “delitto di Ferrara” diventa rapidamente un caso nazionale, non solo per la brutalità con la quale è stato commesso, ma anche e soprattutto perché a finire ben presto sotto i riflettori dei media è un ragazzino di 16 anni e il suo amico poco più che 17enne. Comincia così la marcia dei giornali e delle tv verso quello che è il desiderio di svelare i segreti più nascosti di quella famiglia apparentemente normale. Si viene a formare una calca di telecamere e microfoni pronti a intervistare parenti, amici, conoscenti. Le ipotesi sul movente sono le più varie, c’è chi sostiene che i due avessero una relazione molto più intima della semplice amicizia.

La vicenda diventa un caso da studiare anche dal punto di vista psicologico. Per IlGiornale.it la dott.ssa Stefania Virone psicologo/psicoterapeuta specialista dell'età adolescenziale ed esperto psicologo presso la casa circondariale di Agrigento, ha espresso il suo parere in merito al comportamento dei due ragazzi. Manuel, infatti, dichiara e dichiarerà di essersi macchiato le mani di sangue per amicizia, solo ed esclusivamente per amicizia.

Ma cosa può spingere un minorenne a giocarsi ogni cosa pur di dare una mano all’amico? Secondo la dott.ssa: "Il gruppo dei coetanei, la vera e propria famiglia sociale, oggi ha un’influenza sugli adolescenti del 33% rispetto alla famiglia nucleare che arriva invece al 22%; pertanto un condiviso disagio emozionale, la fiducia, il senso dell’amicizia, il profondo affetto, come detto secondo alcune voci di stampa sfociato in una probabile relazione non accettata dalle vittime, hanno spinto Manuel a sostenere Riccardo fino in fondo nell’efferata soppressione dei suoi genitori".

Dall’altra parte c’è Riccardo che, dietro le sbarre, ha solo una richiesta da fare: avere notizie del cane. Sono tutti sconvolti dall’atteggiamento del ragazzo che ha appena perso i suoi genitori.

“Il profilo psicologico di Riccardo, mediato da quanto si apprende dalle cronache giornalistiche, sembra essere quello di un giovane 'psico–apatico', privo di motivazione e con un'indifferenza generalizzata nei confronti della realtà che lo circonda - spiega Virone - Ciò non vuol dire che non nutra degli affetti profondi, in questo caso per il suo cane. Da rimarcare anche l’assunto che qualsiasi atrocità possa aver commesso Riccardo, il suo cane lo continuerà ad amare immutatamente e lo aspetterà una volta uscito dal carcere; anche ciò spinge Riccardo a un affetto profondo per l’animale che risulta quindi in apparenza paradossale alla luce del gravissimo gesto compiuto ma trae delle specifiche motivazioni da quanto detto in precedenza”.

Dalla notte dell'omicidio la vita dei due ragazzi cambia del tutto, ma il vero numero di questa tragedia è quattro. Due sono i genitori ammazzati con crudeltà, due sono genitori che camminano ancora per strada con la morte dentro: i coniugi Sartori, genitori di Manuel. Per loro è impossibile ricostruire la normalità, quella che credevano fosse una vita come tante con un figlio come tanti nel giro di una notte si è distrutta in mille pezzi. Le telecamere riprendono anche loro in lacrime e sconvolti, non si danno pace. Proprio loro apriranno il corteo per la fiaccolata in memoria di Salvatore e Nunzia, insieme alla comunità sconvolta da quell’orrore inaspettato.

Il movente

Dal punto di vista psicologico, cosa può scattare nella testa di un ragazzino? È evidente un disagio profondo in una situazione difficile ma forse poco capita e compresa dall’esterno. Secondo i vicini di casa dei Vincelli, i dissidi erano all’ordine del giorno e qualcuno ipotizza che molti erano dovuti a un fattore economico, altri per la condotta scolastica del giovane. “Per tentare di comprenderne a fondo le motivazioni alla base dobbiamo partire dalla fase evolutiva in cui i due protagonisti si trovano collocati”.

Secondo la dottoressa Virone, infatti “oggi più che mai l’adolescenza si configura come una costante riformulazione e ridefinizione della propria identità a partire dal proprio corpo, come primo fondamento dell’identità nonché da tutto ciò avviene implicitamente nella mente dell’adolescente, che non risulta assolutamente consapevole del periodo di transizione che lo sta stravolgendo ma ne percepisce gli effetti, senza poterli, pertanto, gestire. Un giorno si sentono amati e apprezzati in quanto riconosciuti e confermati, il giorno successivo per loro cambia tutto. Pertanto è possibile che in Riccardo la percezione amplificata del proprio disagio emozionale lo abbia portato a un punto di rottura. L’insensatezza evidente del massacro dei genitori assume quindi per questo adolescente una specifica valenza: esprimere un odio viscerale ottenendo la possibilità di non dovere più sottostare alle imposizioni e alle regole dei genitori”.

Anche il senso di concretezza viene a mancare: “Parafrasando il professor Umberto Galimberti viviamo oggigiorno un’era contrassegnata dal nichilismo e drammaticamente caratterizzata dall’assenza di uno scopo, di un obiettivo e di risposte adeguate ai 'perché' fondamentali dell’esistenza, essenziali per transitare alle fasi evolutive successive. L’adolescente rimane pertanto imprigionato nell’assoluto presente, senza alcuna possibilità di guardare oltre perché pensare al futuro causerebbe profonda angoscia. Il futuro oggi è quindi contrassegnato da incertezza e instabilità e l’adolescente non scorge le motivazioni necessarie per desiderarlo e progressivamente raggiungerlo”.

La famiglia e la scuola, un ruolo importante ma non decisivo

In questo marasma che caratterizza la società odierna sembra che l’adolescente viva costantemente con un muro che crea per evitare qualsiasi approccio con l’adulto. Spesso l’aspetto che manca maggiormente in una famiglia è la comunicazione.

“‘Perché devo vivere? Perché devo stare al mondo? Perché mi devo impegnare nella vita? A che scopo?’: sono quesiti essenziali e centrali per ciascuno di noi che peraltro acquistano nell’adolescente una drammatica amplificazione; per contenere tale enfatizzazione pertanto famiglia e scuola rivestono un ruolo fondamentale. Il disagio degli adolescenti comporta dunque misure più incisive di prevenzione e maggiore attenzione, per evitare che il malessere si possa trasformare in un agito da cui non vi sia più possibilità di fare ritorno, come la drammatica cronaca dei fatti di Ferrara del resto conferma”.

Ma allora come dovrebbero comportarsi gli adulti in merito? “Mantenendo aperti i canali di contatto e comunicazione autentici: uno stile educativo, per essere ottimale, dovrebbe definirsi autorevole, ovvero un approccio in cui la definizione dei limiti si aggancia all’affetto e al rispetto dell’autonomia del figlio in stretto rapporto alla fase evolutiva in cui egli si trova.

Si tratta pertanto di immaginare la possibilità di un approccio equilibrato, di un attaccamento sicuro dove i genitori sono fonte di sostegno per il figlio anche e soprattutto per il raggiungimento della sua autonomia - conclude Virone - Gli adolescenti devono avere la possibilità di sentirsi: 'visti', protetti, confortati e sicuri ma nel contempo di sentirsi appropriatamente 'liberi'”.

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