"Io ed Emanuela condividevamo la passione per la musica classica e abbiamo frequentato, in tempi diversi, la stessa scuola di musica. Eravamo 'quasi' amiche". Lo racconta a ilGiornale.it Anna Cherubini, scrittrice e sceneggiatrice televisiva, che di recente ha pubblicato un romanzo su Emanuela Orlandi, la 15enne scomparsa a Roma il 22 giugno 1983. Il libro - Diventeremo amiche, edito da Solferino - è una sorta di diario personale in cui l’autrice dà voce a quella ragazzina che, molti anni dopo, è diventata la Vatican girl della serie Netflix. "Volevo raccontare Emanuela così come l’ho conosciuta io più di quarant'anni fa: una ragazza semplice, come tante altre della sua età, e senza grilli per la testa", spiega ancora Cherubini alla nostra redazione.
Anna Cherubini, quando e com’è nata l’idea di scrivere questo romanzo?
"L’idea di scrivere questo romanzo è nata anni fa. Ne avevo parlato con Teresa Ciabatti, mia amica nonché direttrice della collana 'I Pavoni' della casa editrice Solferino, che un giorno mi disse 'devi assolutamente scrivere questa storia', anche se poi è trascorso molto tempo prima che decidessi di farlo. Probabilmente mi ha smosso il fatto di diventare madre di una ragazza adolescente, che peraltro frequenta una scuola di musica. E poi, dopo aver visto Vatican Girl (la docuserie di Netflix ndr), ho sentito l’esigenza di mettere nero su bianco i mieri ricordi da adolescente di Emanuela, una ragazza giovane e libera a cui è stata negata la possibilità di rincorrere i suoi sogni".
Diventeremo amiche è un titolo eloquente. Per lei ha un significato particolare?
"Sì. Non volevo addentrarmi nei dettagli pruriginosi dell’inchiesta, di cui è già stato scritto e detto molto in questi quarant’anni, ma raccontare questa amicizia mai sbocciata tra me ed Emanuela. ‘Diventeremo amiche’ è un desiderio, quello che avevo da ragazzina di diventare sua amica, ma anche un augurio per il futuro. Del resto è una vicenda ancora aperta".
Nel libro racconta il primo incontro con Emanuela Orlandi davanti ai "giardini quadrati" del FAS (il poliambulatorio del Vaticano ndr). Cosa ricorda di quel momento?
"Era settembre e io avevo una gamba ingessata. Emanuela era assieme alle amiche in quelli che noi ragazzini chiamavano 'giardini quadrati' per la geometria delle aiuole, per l’appunto quadrate. All'epoca avevo undici anni e ricordo di aver pensato che loro erano libere di correre, mentre io ero impossibilitata nei movimenti per via del gesso. Poi Emanuela si avvicinò e scambiammo quattro chiacchiere, come abbiamo fatto anche in seguito, quando ci siamo viste in altre occasioni".
Di cosa parlavate?
"Non ricordo con esattezza i dialoghi chiaramente, anche perché i nostri incontri furono sporadici ed è passato molto tempo da allora. Però condividevano la stessa passione per la musica classica. Oltre al flauto traverso, lei suonava anche il pianoforte, come me. Ricordo che le brillavano gli occhi quando parlava di musica, penso le piacesse sul serio. Pietro e le sue sorelle mi hanno raccontato che era molto brava".
Che idea si era fatta di Emanuela?
"Mi era sembrata una ragazza molto solare e vivace, ma senza grilli per la testa e con i piedi ben piantati a terra. Del resto lei e i suoi fratelli, come io e miei, avevano ricevuto un’educazione molto severa".
A tal riguardo, nel libro corre una sorta di parallelismo tra la famiglia Cherubini (la sua) e gli Orlandi. In cosa si assomigliavano?
"Sia mio padre che Ercole Orlandi, il papà di Emanuela, erano funzionari del Vaticano. Loro vivevano all’interno delle Mura leonine, noi appena fuori, in via di Porta Cavalleggeri. Abbiamo vissuto entrambe in un contesto privilegiato, ma certamente rigido. Non dico che i nostri genitori fossero intransigenti - i suoi meno che i miei - ma bisognava rispettare le regole. Solo che la mia famiglia era chiassosa, a differenza degli Orlandi che erano molto tranquilli".
Poi il 22 giugno del 1983 Emanuela scompare all’improvviso. Cosa ricorda di quel giorno?
"Fu mio padre a darci la notizia. Rientrò a casa, si fermò sulla porta della cucina e disse: 'La figlia di Ercole Orlandi è andata alla scuola di musica ieri e non è più tornata'. Fu uno choc. Del resto era sparita una giovane cittadina del Vaticano, che peraltro conoscevo di vista. Ricordo che, nei giorni e nelle settimane a seguire, avevo paura di uscire. Come se quello che era accaduto a Emanuela - chissà cosa - potesse succedere anche a me. Poi i mesi passarono e la situazione, pian piano, tornò alla normalità. Tranne per la famiglia Orlandi, ovviamente, che aspetta ancora il ritorno di Emanuela".
Riguardo alla famiglia Orlandi, oltre a Pietro e le sue sorelle, lei ha conosciuto anche Maria, la mamma di Emanuela. Che impressione le ha dato?
"Nonostante i suoi 94 anni, Maria è una forza della natura. È molto credente e credo che proprio la fede l’abbia aiutata a sopportare questi quarant’anni di inferno. È una persona straordinaria, piena di vita e speranza".
Il suo non è un libro di inchiesta, ma offre alcuni spunti interessanti. In tal senso è illuminante la conversazione con il giornalista Andrea Purgatori: è stato lui a suggerirle di soffermarsi sulla scuola di musica che frequentava Emanuela.
"Sì. Ho incontrato Andrea Purgatori dieci giorni prima che morisse. Da ottimo giornalista d'inchiesta quale era, mi ha suggerito di puntare l’attenzione sulla Ludovico da Victoria, la scuola di musica in piazza Sant’Apollinare che frequentammo sia io che Emanuela, in tempi diversi. A suo dire, si trattava di una 'zona ancora inesplorata' nelle circostanze che determinarono o potrebbero aver determinato l’evoluzione delle indagini sulla misteriosa scomparsa".
E lei lo ha fatto. Cosa ricorda?
"Sicuramente era un ambiente molto severo e, per certi versi, anche un po' cupo. Ma c’è da dire che all’epoca ero appena una ragazzina e, inoltre, ci andai alcuni mesi dopo la scomparsa di Emanuela. C’erano sicuramente delle stranezze, come ad esempio che noi allievi non potessimo mai sostare sulle scale o accedere al terrazzo, ma non c'è stato mai qualcosa che abbia catturato la mia attenzione. Ho trascorso quasi sei anni in quella scuola e ho tanti bei ricordi".
Riguardo ancora la scuola di musica, nel libro racconta che le sembrava ingiusto aver preso il posto di Emanuela. Ci racconta com'è andata?
"Fu mio padre a insistere che frequentassi la Ludovico da Victoria, a me non entusiasmava molto l’idea di andare in una scuola gestita dal clero. Tant’è che quando la direttrice, suor Dolores, disse che non c’erano posti, tirai un sospiro di sollievo. In seguito convocò mio padre per dirgli che si era liberato un posto, suppongo quello che mesi prima era stato occupato da Emanuela. Provai un profondo senso di colpa, accettai solo perché mi assicurano che se Emanuela fosse tornata a casa avrebbe ripreso a seguire regolarmente le lezioni. 'Ci stringeremo un po', ci starete tutt'e due', precisò suor Dolores".
Quanto alla scomparsa di Emanuela, che idea si è fatta?
"Nessuna in particolare. Intendo dire che tutte le piste sono plausibili. Credo solo che Emanuela sia stata ingannata da qualcuno e attirata in una trappola. Da quello che mi hanno raccontato di lei i familiari, e per quel poco che ho intuito dalla nostra fugace conoscenza, sono certa che non si sarebbe mai allontanata da casa di sua volontà. Dice bene Pietro quando parla di 'rapimento'".
Pietro Orlandi ha sempre ribadito che cerca sua sorella "viva". Lei ha mai immaginato di poter rivedere Emanuela un giorno?
"Ci ho pensato tante volte. Sarebbe una gioia immensa per tutti, ma soprattutto per la famiglia Orlandi. Chiaramente, all'inizio resterei un passo indietro, com'è giusto che sia. Poi, col tempo, proverei ad avere un contatto con lei".
Cosa le direbbe?
"Sono la ragazza con la gamba ingessata che sedeva ai 'giardini quadrati' del FAS. Ricordi? Adesso siamo diventate quasi amiche o potremmo diventarlo".
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