Ci sono i numeri, che non sbagliano quasi mai. E il modo di raccontarli. I valori assoluti, le percentuali, le variazioni. Se ci sediamo un attimo e osserviamo lucidamente come ci si è posti di fronte alla pandemia, e come i media hanno riportato giorno dopo giorno il suo andamento, è facile registrare una sorta di isteria generalizzata che ha portato a leggere i dati più in base alle convenienze, anche politiche, del momento che alla realtà dei fatti. Prima tranquillizzanti, poi convinti che tutto sarebbe finito in breve tempo, infine allarmisti al primo positivo asintomatico registrato.
Il 20 febbraio i casi registrati nel Belpaese sono solo due turisti cinesi ammalatisi a Roma. Tutti predicano ottimismo, dal premier all’ultimo dei ministri, convinti che l’infezione non possa raggiungere l’Italia. I media si accodano. Chi osa chiedere di monitorare i cinesi viene additato come razzista. L’episodio infettivo appare isolato. Poi un bel giorno la Lombardia si ritrova in un incubo e all’improvviso il mondo cambia. Con Codogno il racconto dell’epidemia prende una nuova, breve, piega. “Allarme” è la parola simbolo, forse anche giustamente. Ma in poco tempo editorialisti e commentatori si accorgono che c’è il rischio di paralizzare il Paese e di isolarlo dal resto d’Europa. Allora iniziano gli appelli a “ripartire”, a tornare nei bar, fioccano gli aperitivi di Zingaretti, i video di Sala da Milano e Gori da Bergamo. La mascherina? Inutile. Lo dice pure l’Oms. Chi la porta viene sbeffeggiato perché non serve a nulla. Quando Attilio Fontana osa indossarla in diretta in molti lo “perculano” (scusate il termine, ma è quello corretto). Pure Sua Santità Andrea Scanzi si spertica in uno spassosissimo video in cui assicura che non dobbiamo temere Sars-CoV-2. Era il 25 febbraio e Mattia lottava ancora in terapia intensiva.
Da quel momento in poi inizia una giostra incredibile. Ogni giorno un pezzo sul saliscendi di contagi, pur sapendo che queste cose vanno viste con sguardo di lungo periodo. La confusione tra attualmente positivi, nuovi casi e dimessi regna sovrana. Intorno al 25 marzo tutti i giornali esultano per il calo dei contagi, promuovendo indirettamente le misure adottate dal governo. Peccato che non sia esattamente vero (leggi qui) e infatti i nuovi positivi rimarranno sopra le 3mila unità al giorno per altri 20 giorni. Il 26 marzo il Corriere deve scrivere una “guida” per leggere i dati (confusionari) della Protezione Civile, un po’ ad uso interno e un po’ a vantaggio di molti colleghi.Ecco perché il dibattito odierno sull’andamento della pandemia va letto con estrema calma, evitando di farsi trascinare da chi intona il coro “crescono i contagi”, quasi a voler giustificare l’emergenza continua, senza fermarsi ad osservare nel dettaglio i numeri. Ieri la Fondazione Gimbe ha sparato la bomba sulla “preoccupante e indiscutibile ascesa” del virus. Qui abbiamo provato a spiegarvi perché trattare con le pinze quei numeri sulle terapie intensive e i ricoveri ospedalieri. Oggi meritano due parole l’attenzione data all’incremento settimanale del 37,9% dei nuovi casi e la “crescita ancor più accentuata (+ 52,2%) del numero delle persone attualmente positive”. Ci dobbiamo preoccupare? Il professor Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, dice: "La fase epidemica in Italia è sostanzialmente finita", "il numero dei positivi non è una voce alla quale guardare con paura", "confondiamo i contagi con la gravità della malattia" e "ci spaventiamo per numeri che non significano moltissimo".
Guardiamo allora al rapporto tra nuovi contagi e tamponi effettuati. Oggi di test se ne realizzano molti di più e, soprattutto, grazie all’attività di screening, pizzichiamo anche positivi senza relazioni con altri infetti (sono il 33%). Nonostante la discreta massa di tamponi (ieri 61mila nuovi casi testati), i positivi sono “solo” 1.397. Il giorno dopo la riapertura, quando tutti lodavano la ripartenza, cioè il 19 maggio, erano 813. Molti meno, direte. Sì, ma con appena 40mila nuovi casi testati. Infatti il rapporto tra tamponi realizzati e nuovi positivi era dello 2,02%, quasi lo stesso di quello odierno (2,28%). In sostanza, tre mesi fa si trovava un positivo ogni 49 tamponi effettuati su persone mai testate prima. Oggi uno ogni 44. Se il rapporto non ci preoccupava allora, non è ancora motivo di allarme oggi. "Il rischio di infettarsi - dice Remuzzi - è simile a quello di cadere in motorino e minore di quelli che si corrono durante una immersione subacquea. Quarantaquattro probabilità su un milione".
Peraltro va considerato il fatto che l’età media dei contagi rivelati si sta abbassando e soprattutto la maggior parte è asintomatica. Oggi il 77,8% degli infetti ha meno di 50 anni, mentre il 18 maggio erano solo il 30% e il giorno con più nuovi positivi (il 21 marzo) appena il 25%. La figura qui sopra lo mostra chiaramente: l’età mediana dalla fine di aprile mostra un chiaro trend in diminuzione: passa da oltre 60 anni nei primi due mesi dell’epidemia ai 29 anni nell’ultima settimana. Ora scoviamo molti più giovani infetti, spesso asintomatici, che stanno bene e sono i soggetti meno a rischio decesso. E’ bene tenerli a bada. Ma non siamo nella stessa situazione di qualche tempo fa. Attualmente, spiega Remuzzi, c'è "una possibilità su cento di morire, e una su cento di avere danni di lungo termine". E infatti nel suo ultimo rapporto l’Iss scrive infatti che “in quest’ultimo mese (...) si è assistito ad un aumento del numero di casi asintomatici mentre il numero di casi sintomatici sono rimasti pressoché stabili o lievemente in diminuzione”.
Non è un caso se diversi indicatori hanno fatto dire all’Istituto che “sebbene il numero di casi riportato giornalmente sia numericamente simile a quanto riportato alla fine di febbraio 2020, la situazione epidemiologica è notevolmente cambiata”. In meglio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.