Amanti diabolici di Gradoli, Paolo Esposito all'ergastolo

In appello Paolo Esposito è stato condannato all'ergastolo per aver ucciso e occultato i cadaveri di Tatiana Ceoban e della figlia Elena di appena 13 anni

Amanti diabolici di Gradoli, Paolo Esposito all'ergastolo

Ergastolo, ovvero fine pena mai. Un verdetto agghiacciante. L’avevano già pronunciato il 13 maggio di un anno fa i giudici della Corte di Assise di Viterbo. L’hanno ripetuto oggi pomeriggio i giudici della I Corte di Assise d’Appello di Roma per uno dei due amanti diabolici di Gradoli, Paolo Esposito, 42 anni, accusato di aver ucciso volontariamente e occultato i cadaveri di Tatiana Ceoban, 36 anni, e della figlia Elena di appena 13 anni.

Sentenza durissima che segna il punto di non ritorno per la coppia, lei sorella della vittima nonché zia della ragazzina, accusata di favoreggiamento, lui patrigno di Elena e compagno infedele di Tatiana e suo carnefice. Insomma, pena ridotta solo per quest’ultima, già condannata all’ergastolo in primo grado e oggi a otto anni di reclusione per aver favorito l’omicida della nipote e della sorella maggiore. Una donna giunta una decina di anni fa dalla Moldavia in cerca di fortuna, “Tania”, e che dalla relazione con Esposito, un elettricista-informatico con il pallino dei video pedo-hard, aveva avuto una figlia, Erika, di otto anni. Una storia che ha davvero dell’incredibile quella della scomparsa delle due donne da un paesino sul lago di Bolsena, uccise senza pietà, secondo l’accusa, in quanto ostacolo alla relazione tutt’altro che segreta degli imputati.

È il 30 maggio del 2009. Mentre Elena è a scuola la mamma si reca a Viterbo per acquistare una telecamera. La piccola, difatti, due giorni dopo avrebbe avuto la recita di fine anno e un saggio di danza. Lo scontrino viene battuto verso l’ora di pranzo in un grande supermercato della città. Poi riprende la corriera per Gradoli. L’autista ricorda di aver fatto scendere una donna proprio davanti la villa degli orrori, ovvero l’abitazione di Esposito e Tatiana alle “Cannicelle”, la fidanzata in una foto riconosce proprio la scomparsa. “È lei!” dirà in Tribunale. In casa ci dovrebbe essere già Elena, secondo la ricostruzione avvenuta in aula, di ritorno da scuola. Ma non si è certi se viva o già morta. Nell’abitazione ci sarebbe anche la zia Ala, e lo stesso Esposito. La vittima numero due entra e, sempre secondo la ricostruzione del pm Renzo Petroselli, non trova la figlia maggiore. Oppure la trova cadavere. A quel punto deve essere impazzita, “deve aver dato di matto”, e quindi uccisa con violenza inaudita secondo i carabinieri del Ris che in cucina riusciranno a isolare sangue ovunque: tracce ematiche significative di cui almeno 21 positive. Il Dna conferma: appartiene a Tatiana. Una donna sulla quale per mesi è stato insinuato il dubbio di una fuga precipitosa quanto inspiegabile per chissà quale destinazione, probabilmente verso il Paese di origine, la Repubblica Moldava. Ma di lei, con il passar del tempo, oltre alle tracce si perde ogni speranza di rintracciarla. Viva o morta. Del resto passaporti, denaro, carte di credito sono stati trovati perfettamente al loro posto. “Eppoi, per quale ragione assurda avrebbe dovuto abbandonare la figlioletta che all’epoca non aveva nemmeno sei anni?” puntualizza l’avvocato Claudia Polacchi, legale della bimba che si è costituita parte civile contro padre e zia. “Anni addietro aveva combattuto perché Esposito avrebbe voluto tenerla per sé - continua l’avvocato Polacchi - intentando presso il Tribunale dei Minori un procedimento per l’affido esclusivo”. Una guerra esplosa quando Tatiana scopre in un Dvd entrato a far parte delle prove acquisite, immagini “hard” di Paolo e sua sorella Ala mentre facevano l’amore. È la prova regina del duplice tradimento. Passano i mesi e che fra i due non si trattava solo di una storiella da poco lo racconteranno, sempre in aula, migliaia di sms (undicimila) scambiati fra Paolo e Ala in poco più di 4 mesi. Centinaia al giorno. In uno di questi, letto ai giudici popolari, l’intenzione chiara di volersi sbarazzare della donna, la “str…” la definiscono i due. La piccola Erika, dunque, il movente del duplice delitto secondo l’accusa: basterebbe sbarazzarsi di madre e figlia maggiore per essere il solo ad avere la patria potestà della bimba. Paolo non è colpevole solo di omicidio: l’uomo aspetta 3 giorni dalla sparizione della convivente per recarsi dai carabinieri ma solo per denunciarla per “abbandono di minore”. Sarà la madre di Tania, nonna di Elena ed Erika, a precipitarsi da Bologna e far aprire un fascicolo prima per scomparsa, poi per sequestro di persona infine per duplice omicidio. I due, durante le indagini, negano ogni relazione d’amore, negano di essere stati insieme in quel sabato maledetto e la domenica successiva. Ala, poi, tenterà la carta del falso alibi portando i carabinieri del nucleo operativo in giro per un giorno intero a Grosseto. “Ero in un locale con due uomini” racconterà. Tutto inventato. A convincere i magistrati delle loro bugie le schede sim intestate a parenti e amici ma in uso ai due amanti. Le celle dei ripetitori seguono ogni loro movimento. Ala da Santa Fiora, Grosseto, va a Gradoli dove si consumerà o è già stato consumato il delitto. Le modalità del barbaro assassinio restano ancora oscure, come il luogo in cui sarebbero stati portati i cadaveri. La prima, Elena, potrebbe essere morta per soffocamento (si spiegherebbe l’assenza del suo sangue in casa), Tatiana uccisa con decine di coltellate o, comunque, con un oggetto contundente. Sul mancato ritrovamento dei corpi, dell’arma del delitto e di un valido movente si concentra l’arringa del collegio difensivo, composto dagli avvocati Enrico Valentini, Mario Rosati e Pierfrancesco Bruno. “La sentenza di secondo grado conferma in parte l’impianto accusatorio - commenta Luigi Sini, legale di parte civile -. Ma come ho già detto al primo grado, non c’è nulla da festeggiare.

È scomparsa una madre di famiglia e sua figlia, una ragazzina di appena 13 anni, e a distanza di tre anni i parenti non hanno nemmeno un posto, una tomba, su cui piangere”. Erika da due anni vive serenamente a centinaia di chilometri dal luogo della tragedia ma non dimentica mai i suoi genitori. Soprattutto la mamma.

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