«Mamma, cosa ci fa il prete nell'armadio?». Ero in confessionale quando ho sentito un bambino porre questa domanda, allora mi sono messo a spiare per osservare la scena e attendere la risposta che avrebbe avuto. In quel momento i nostri sguardi si sono intrecciati: i suoi occhioni scuri e luminosi erano incorniciati sopra da capelli spettinati e sotto da un sorriso pieno di curiosità. Chissà se lui ricorda qualcosa del mio volto o come lo ha percepito.
Si è diretto verso di me con passo deciso, lasciando la mano della mamma che imbarazzatissima ha provato a sbilanciarsi per ripigliarlo al volo, mi ha puntato il suo ditino indice e con tono simpaticamente sornione mi ha detto: «Ti ho beccato! Ma se vuoi ti aiuto a venire fuori!».
Ho accolto la proposta di questa rubrica con trepidazione e insieme con gioia. Diventa per me l'occasione per avere il coraggio di dare retta a quel ragazzino.
Quel giorno sono rimasto al mio posto, non mi sono mosso dalla penombra.
Oggi vengo fuori e mi metto a osservare il confessionale. Capisco come per qualcuno possa essere l'immagine di una Chiesa chiusa in un armadio, con abbondante naftalina per nascondere l'odore di muffa, mascherando il tutto con un profumatore d'ambiente di scarsa qualità, basso costo, zero attrattiva. Il prete, in tutto questo, appare come l'uomo prigioniero di quell'ombra, nella sua veste nera con sopra la stola viola, cupo, indagatore, moralista, pessimista, morboso. Riprova è che - al di là della realtà - nei film il confessionale è sempre raffigurato così. Mi è capitato di sentirmi dire: «Voi sacerdoti non siete per nulla furbi: io fin da ragazzo ho imparato a fregarvi, infatti mettevo come ultimo peccato Ho detto bugie, così erano comprese pure quelle di quel momento». È vero che il confessionale è un armadio, ma per me è un armadio pieno di verità.
È questo l'orizzonte con cui intendo settimana per settimana offrire le mie riflessioni desiderando che siano sguardi sulla realtà delle persone e della società, partendo da cosa un prete ascolta e vede e vive dentro quello spazio.
Una rubrica religiosa? No. Un'analisi moraleggiante? No. Una miniera di umanità? Sì. È questo quanto vorrei riuscire a condividere, perché è davvero intrigante la prospettiva «da dentro», non tanto e solo per una curiosità pruriginosa di cosa nel segreto si può ascoltare, quanto piuttosto perché è scuola e palestra di umanità. «Il confessionale» è sempre per me la scatola di un dono, perché mi arricchisce come prete ma anche e soprattutto come uomo. Il titolo di questa rubrica quindi riguarda innanzitutto me: sono io che voglio confessare a voi una dimensione particolare ignorata. Quante volte di fronte a persone che mostrano le loro ferite o quanto di storto e guasto c'è nella loro vita vorrei rispondere: «Tranquillo, io sono molto peggio!». È faticoso ascoltare i peccati perché è un terribile esame di coscienza su se stessi. Ti trovi a porti domande schiette su alcuni aspetti che magari avevi nascosto nella cantina dell'interiorità, dimenticandoli sotto cumuli di superficialità polverosa.
Ti trovi poi in alcuni casi ad essere ricoperto di negatività, un raccoglitore di sfoghi, di lacrime, di rabbia, di tensioni, di complessità, di fatiche, di sforzi, di crisi. Hai pochi secondi per cercare di intuire il non detto, non puoi abbassare l'attenzione. A volte è estenuante. Anche qui, però, come prete, ne esci ribaltato perché i tuoi brontolamenti e i tuoi nervosismi vengono svuotati, vengono sgonfiati e categorizzati nel loro ruolo secondario: ma cosa mi lamento io? ma perché devo arrabbiarmi io? ma in confronto quanto sono fortunato io?!
Infine c'è la dimensione più bella: l'anima di ogni persona è un giardino meraviglioso nel quale sei invitato a entrare in punta di piedi. Ognuno ti fa accedere secondo la stagione che sta vivendo: ci sono sempre infinite sfumature di colori, con fiori e frutti diversi. Mi è concesso di centellinarli. Non posso permettermi di mordere o di sciupare. Ogni dettaglio è arricchente.
Quanti progetti nasconde, quanti investimenti, quanto lavoro, quanta cura. In alcuni angoli compaiono sculture: sono opere d'arte che presentano persone speciali o traguardi vincenti. Dietro ad alcune siepi fanno capolino pezzi di rovine di qualcosa che è crollato, pure queste hanno un loro fascino se anche a loro è stato dato un posto e un perché. Guardo meravigliato, imparo, gusto. Potrei fare anche io così. Ne esco affascinato, arricchito, migliorato. Mi è stato donato di respirare bellezza a pieni polmoni. In certi cuori il meteo non è favorevole, perché magari ci sono nuvole plumbee o persino tempeste, il giardino però sempre incantato resta. C'è un'ulteriore esperienza, quella della mediocrità, della superficialità, di chi arriva «perché si deve e perché si è sempre fatto così», di chi per abitudine ripete a memoria le stesse cose senza cambiare una virgola, di chi si pone davanti a te annoiato e sbuffante tendente all'indispettito per l'attesa.
Allora mi domando: quale è il mio stile? Se loro si comportano così non è che rispondono a come mi pongo io? Il confessionale è davvero un armadio da cui far uscire umanità: con i suoi profumi e i suoi odori. Non scherzano certe alitate che ti colpiscono in faccia quando uno ti dice sospirando «Che vuole che le dica?!» e a cui ribatteresti «Per favore nulla, grazie, o mi uccide!».
Eppure è una miniera che laicamente, antropologicamente, veracemente può arricchire anche solo aiutando a porsi in una prospettiva di visuale diversa per osservare la realtà più spiccia e magari farsi qualche sorriso mettendosi in questione.
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