Una situazione atipica: un pontefice regnante ed uno emerito che abitano all'interno delle stesse mura. Jorge Mario Bergoglio e Joseph Ratzinger non sono in lotta, ma le loro "tifoserie" in qualche modo sì. La situazione è tanto strana da aver spinto le gerarchie dal Vaticano alla riflessione sulle regole da seguire per un Papa che si è dimesso. Poi non se n'è fatto niente, ma per qualche settimana in Santa Sede hanno ragionato su come normare gli interventi di Benedetto XVI (e di tutti i possibili pontefici emeriti del futuro). Quand'è che un Papa che non è più Papa può parlare? Possibile che il discorso venga ripreso. C'è chi incolpa Ratzinger per aver alimentato la "confusione" con i suoi interventi. E c'è chi, al contrario, ritiene che la "confusione", più che gerarchica, sia dottrinale e dipenda tutta da papa Francesco e dalla sua spinta progressista. La domanda che circola da sette anni tra gli addetti ai lavori è sempre la stessa e riguarda la "continuità" o la "discontinuità" tra i due pontificati. Una questione che non è semplice da dipanare.
Quando Benedetto XVI ha rinunciato al soglio di Pietro, in molti hanno pensato ad una successione naturale. Invece è stato eletto l'ex arcivescovo di Buenos Aires. I retroscena sul Conclave in cui è stato eletto Ratzinger hanno raccontato anni dopo di come i progressisti avessero opposto a quella del teologo tedesco proprio la candidatura dell'argentino. Poi Bergoglio si è ritirato dalla corsa, dando il via libera all'elezione dell'uomo che tanto aveva significato durante il pontificato di San Giovanni Paolo II. Una versione - questa dello "scontro" al Conclave del 2005 - che ha fornito più di qualche assist ai "teorici della discontinuità". Esiste una "battaglia" tra conservatori e progressisti, ma Francesco e Benedetto XVI sono o no i riferimenti dell'uno e dell'altro fronte? Dal punto di vista comunicativo, forse sì. Ma in realtà il duo, che tiene molto all'unità della Chiesa cattolica, non ha mai combattuto. Anzi, Ratzinger ha sfruttato ogni occasione per affermare la "continuità" con il suo successore. Sono le posizioni prese da Benedetto XVI in quanto emerito, semmai, ad aver fatto pensare il contrario. Dal caso della "lettera tagliata" al libro contro l'abolizione del celibato sacerdotale: sono le volte in cui Joseph Ratzinger ha tuonato ad aver suggerito l'ipotesi che le "Chiese" fossero divenute due?
Uno "scisma", a ben guardare, è stato ventilato sì, ma per via delle fughe in avanti di certi episcopati. In particolare, il "Sinodo interno" dei tedeschi sembra preoccupare i sacri palazzi. I ratzingeriani, categoria giornalistica oltre che dottrinale, non hanno mai pensato di separarsi dallla Chiesa universale o di provare ad approvare riforme prescindendo dall'opinione del pontefice regnante. In un recente testo pubblicato da Rizzoli, Papa Francesco. Benedetto XVI Papa emerito. Una sola Chiesa, il cardinale e segretario di Stato Pietro Parolin ha introdotto le argomentazioni che propendono per una "continuità" che in fin dei conti sarebbe assoluta. Ma non tutti la pensano alla stessa maniera, in specie nel campo laico.
Elementi di continuità
Bergoglio e Ratzinger sono in continutà per quel che riguarda l'aspro combattimento per la trasparenza in Vaticano ed in relazione alla battaglia contro gli abusi sessuali ai danni dei minori e degli adulti vulnerabili. Questo è un elemento riconosciuto dai più. La "linea della tolleranza zero" è stata introdotta da Ratzinger sulla scia di quanto messo in campo come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede durante il pontificato di San Giovanni Paolo II. Ratzinger è il papa recordman per numero di consacrati ridotti allo stato laicale in seguito all'emersione di evidenza di prove riguardanti episodi legati ad abusi. Francesco ha continuato l'azione del suo predecessore. All'interno delle "mura leonine", peraltro, non sembra essere svanito il "tappo" che ha impedito a Benedetto XVI di riformare la Curia nel profondo. Papa Francesco sta cercando di far approvare una nuova Costituzione apostolica, che modificherebbe gli equilibri interni ai sacri palazzi. Ma per ora, nonostante gli annunci, sembra permanere qualche difficoltà. Un segno della presenza di forze concentriche che spingono affinché i pontefici non mutino le regole della vita ecclesiastica ai più alti livelli? Possibile. O almeno quella è una delle letture che circolano. Un fattore di coincidenza tra i due pontificati, ancora, è costituto dalla ferma volontà di entrambi i successori di Pietro di realizzare pienamente il Concilio Vaticano II. Gli anti-conciliari, loro sì, si sono opposti sia a Benedetto XVI sia a Jorge Mario Bergoglio. Una lettura che preveda un Benedetto XVI "restauratore" e schierato su una zona diametralmente opposta a quella di un "rivoluzionario" Bergoglio è stata spesso presentata.
L'antropologo Roberto Libera, intervistato da ilGiornale.it, spiega che molto del pontificato di Francesco ruoti attorno a questa storia del Vaticano II: "Mi capita di leggere spesso sui media, o ascoltare da commentatori, anche qualificati, considerazioni riguardo il pontificato 'rivoluzionario' di Francesco. Personalmente - ha aggiunto l'esperto - non condivido affatto questa diffusa opinione. Ritengo che basterebbe leggere i contenuti dei documenti prodotti dalla Chiesa cattolica al termine del Concilio Ecumenico Vaticano II per comprendere che l’attuale pontefice, in realtà, sia impegnato in una azione di attuazione dei capisaldi delle costituzioni e dei decreti nati dai lavori conciliari. La vera questione, io ritengo, sia quella della ancora incompiuta realizzazione di quanto auspicato dal Concilio Vaticano II, cioè un cammino di trasformazione, nella Tradizione, di una Chiesa che, come Paolo VI aveva auspicato, volge la mente verso la direzione antropocentrica della cultura moderna, senza, per questo, disgiungere questa attenzione “dall'interesse religioso più autentico”.
La mancata natura "rivoluzionaria" del regno di Bergoglio, insomma, sarebbe la prova effettiva della continuità con Benedetto XVI. L'ex arcivescovo di Buenos Aires inoltre, stando a quanto dichiarato dall'antropologo Libera, non sarebbe poi così "di sinistra": "Il Concilio Vaticano II, almeno nelle intenzioni, diede ampio spazio a realtà ecclesiastiche fortemente impegnate nel sociale, come quella dei 'preti operai', ad esempio. L’intento non era solo quello di dare spazio al pensiero sorto nell’ambito di ambienti ecclesiastici 'progressisti' nella seconda metà dell’Ottocento, quello del cosiddetto movimento modernista. Uno dei motivi dell’apertura 'a sinistra' che sembrava scaturire dalle decisioni conciliari era anche quello di conquistare degli spazi nel mondo del proletariato dominato dalle rivendicazioni comuniste. Ma vorrei chiudere con due riflessioni, a proposito dell’entusiasmo da parte progressista verso l’attuale pontefice, la prima è che in realtà le attenzioni verso i più deboli, i sofferenti, i diversi, sono parte integrante e imprescindibile dell’opera del Cristianesimo, fin dalle sue origini, anzi, costituiscono il messaggio rivoluzionario del Cristo stesso, questo avveniva qualche millennio prima della nascita dell’ideologia marxista; infine, mi permetto di affermare che sbagliano quanti sono soliti attribuire appartenenze di 'destra' o di 'sinistra' ai pontefici, la Chiesa opera su piani molto distanti da quelli politici, la sua visione del mondo deve essere, necessariamente, altra e alta rispetto alle contingenze della politica".
Elementi di discontinuità
Non è un mistero: i membri di un insieme culturale e religioso - quello che nel tempo è stato chiamato "fronte tradizionale" o "fronte conservatore" - pensano che Joseph Ratzinger e Bergoglio siano in assoluta discontinuità. Dalle posizioni politiche, alla centralità cui è stata destinata l'Europa nel corso del regno del tedesco, passando per le posizioni sui migranti (Ratzinger era anche per il "diritto a non emigrare", mentre Bergoglio è per una linea più aperturista, cosiddetta linea "erga omnes", verso tutti): il piano della discussione interessa questi aspetti, oltre a quelli prettamente dottrinali. Gli stessi su cui spesso e volentieri Francesco e Benedetto XVI la penserebbero in maniera diversa. Come giudicare, allora, i tentativi della Santa Sede, e di molti esperti del settore, di continuare a porre accenti sulla "continuità" tra l'attuale Santo padre ed il precedente?
Marco Tosatti, vaticanista di lungo corso e oggi animatore del seguitissmo blog chiamato Stilum Curiae, spiega a ilGiornale.it: "A mio modesto parere c’è una fortissima discontinuità fra i due pontificati. Punto. Cercare di affermare il contrario, sia pure con le migliori intenzioni del mondo, per non creare divisioni all’interno della Chiesa, per non esacerbare sensibilità in sofferenza, per evitare di creare un polo in un certo senso di silenziosa, muta, ma permanente critica e resistenza nei confronti non tanto della persona di Jorge Mario Bergoglio, ma dei frutti dell’azione del suo entourage, vicino e lontano, mi sembra meritevole da un punto di vista morale, fatta salva la sincerità delle intenzioni, e purché non sia un semplice atto di cortigianeria ; ma assolutamente non corrispondente alla realtà". Le diversità tra l'emerito ed il regnante sarebbero dunque sotto gli occhi di tutti. E basterebbe guardare per accorgersi di tutte queste differenze.
Il dibattito in corso
Marco Tosatti incalza: "Posto che di recente è uscito un libro tutto impegnato a dimostrare la continuità, e per non tediare il lettore con risposte eccessivamente lunghe, mi limiterò alla discontinuità. In breve: mentre il pontificato di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI rappresentavano una sfida continua alla cultura dominante, e che si è imposta nel mondo occidentale – grazie all’appoggio incondizionato dei mass media, contigui o collusi – i temi prevalenti del regno di Bergoglio, quali migrantismo, ecologia, “culto” della Madre Terra e così via sono quanto di più omologo e omogeneo con quanto predica la cultura dei poteri che prevalgono – per ora – nel mondo occidentale". Anche il piano fattuale renderebbe bene l'idea di come i due pontificati non possano in alcun modo essere equiparati sulla base della non pacifica "teoria" della "continuità": "Basta osservare quanto è stato fatto nel campo della difesa della vita - continua il vaticanista - , e come è stato smantellato quello che era il principale strumento di controcultura nei confronti di aborto e uso degli esseri umani come oggetti per rendersene conto".
Poi, ovviamente, c'è il macro-tema della gestione dei fenomeni migratori. Un altro ambito in cui Ratzinger e Bergoglio, come i loro rispetti pontificati, non andrebbero d'accordo: "Per non parlare del migrantismo: un fenomeno che ha evidenti connotazioni di tratta di esseri umani e di sfruttamento degli stessi, e in cui la Chiesa, invece di esaltare e dare preminenza a quanto dicono da tempo vescovi e cardinali africani si rende di fatto complice del fenomeno, anche nei suoi risvolti più venali. Credo che sarà qualcosa di cui dovrà rendere conto alla storia (quella con la lettera maiuscola, ndr). E credo che sia qualcosa che sconcerta molti cattolici, qui ed ora". Al contrario, nel libro edito da Rizzoli, Parolin ha rimarcato, come fatto anche da Libera, il trait d'union dettato dal Concilio: "È l’interpretazione autentica del Concilio da parte del pontefice che l’ha indetto, condivisa dal papa che l’ha concluso, Paolo VI, ed espressa da papa Benedetto XVI nella formula 'novità nella continuità'. E la continuità del magistero papale è il solco percorso e portato avanti da papa Francesco, che nei momenti più solenni del suo pontificato si è sempre richiamato all’esempio dei suoi predecessori...". Il commento del segretario di Stato si può approfondire su Avvenire.
Le voci di "scisma" e il problema della convivenza
I due "schieramenti vaticani" potrebbero dare vita ad uno "scisma"? Ratzingeriani e bergogliani potrebbero davvero optare per due percorsi separati? No. Non c'è alcun pericolo che accada. Questo, almeno, è quello che si deduce dalle scelte, dalle dichiarazioni e dalle mosse di ambo le "parti". Per quanto delle voci riguardanti uno scisma si siano abbattute in questi anni su piazza San Pietro e limitrofi. Un "però" però esiste: quello rappresentanto dalle preoccupazioni del "fronte conservatore" per via del ritorno delle chiese nazionali. Realtà autocefale che sembrano procedere ognuna per conto suo o quasi. Il caso d'esempio è, ancora una volta, quello tedesco, dove il "concilio interno" e l'eventuale approvazione di mofiche nazionali a materie di competenza universali costituirebbero due spade di Damocle poste sull'unità ecclesiastica. Cosa accadrà se la Germania deciderà in via autonoma di abolire il celibato sacerdotale? La Chiesa tedesca sarà in caso considerata come a sé stante? Ecco, questo sembra essere l'aspetto più impellente. Con un distinguo: i ratzingeriani sono preoccupati per la spinta progressista che proviene dalla terra teutonica e da altre realtà, mentre gli episcopati coordinati da esponenti della cosiddetta "sinistra ecclesiastica" hanno sempre guardato con favore al pontefice regnante.
Si vede bene, dunque, come il problema della "convivenza" non derivi tanto dalla differenza di vedute dell'emerito rispetto alla visione del regnante, ma dalle diverse reazioni delle "basi" a quello che accade all'interno della Chiesa cattolica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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