"La piccola è tornata a casa". Mamma Stefania esulta al telefono e le sue parole sono un grido di gioia, degno di una battaglia vinta dopo sei messi di lotte, di notti insonni, di processi in tribunale e di visite dagli psicologi. L'avevamo sentita piangere, con il respiro affannato, simbolo di una mamma leonessa che conduce una guerra per riabbracciare l’amore della sua vita: la sua bambina di appena due anni. Oggi Stefania festeggia e sul suo volto torna il sorriso. Nella sua vita si riaprono le porte della felicità.
Il calvario della mamma e del suo compagno Marco era iniziato il 3 aprile del 2019. Quella mattina, i servizi sociali si presentarono a casa sua fingendo di essere della protezione animali. Piombarono nell’abitazione della madre e, in pochi minuti, si tuffarono in camera della piccola, che dormiva. Un operatore la prese dal suo lettino e, senza dire una parola, scappò via. La bambina iniziò a piangere e quando la madre, intenta a consegnare ai finti operatori dell’Enpa i libretti del cane, sentì le urla di sua figlia accorse a vedere cosa stava accadendo. "Mia figlia era tra le braccia di un uomo che la teneva come un pacco. A testa in giù. E intanto correva per le scale", raccontò a ilGiornale.it. Stefania iniziò a correre ma non riuscì a raggiungere la sua bambina che, non si saprà mai dove verrà portata.
Alcune telecamere di sorveglianza posizionate in casa della coppia riprendono tutta la scena. Dalle immagini a coordinare quello che sembra essere, a tutti gli effetti, un rapimento, erano ben undici persone. Se ne andranno via tutti. In fila indiana. E nessuno si opporrà alla scena straziante a cui stava assitendo.
I genitori iniziano la loro battaglia per riprendersi la figlia e grazie a quel video, che testimonia il blitz degli assistenti sociali, oggi, finalmente, è stata fatta giustizia. A permettere l’assalto a casa della famiglia di Reggio Emilia furono, come anche nei casi che hanno incastrato le famiglie di Bibbiano, alcune relazioni dei servizi sociali che dichiaravano il falso. “Scrivevano che vivevo in uno scantinato, cosa assolutamente non vera. Ribadivano la mia tossicodipendenza, ormai superata da anni", raccontò la mamma a ilGiornale.it. Tesi confermata dal legale della coppia, l’avvocato Francesco Miraglia, che ci ha spiegato le distorsioni di quei testi. "Scrissero che abitava in uno scantinato descrivendo quella che era la loro cantina, non la loro casa".
In effetti, Stefania dopo l’accaduto ha persino permesso ad alcuni giornalisti di entrare nella casa in cui vive e in cui viveva anche la sua bambina. Dalle immagini trasmesse in diretta in diverse trasmissioni televisive la casa risulta del tutto normale. Un ambiente spazioso e ben curato. Eppure le false accuse hanno costretto mamma Stefania e papà Marco ad accettare che la piccola fosse affidata ai servizi sociali che iniziarono a seguire la famiglia costantemente. "Le assistenti venivano da me ogni giorno. Mattina e pomeriggio", raccontò Stefania. Poi, quella mattina di aprile, dove le speranze di ritrovare finalmente la serenità crollano come un castello di sabbia colpito da un mare in burrasca e i genitori iniziano a vivere in un incubo che sembra non avere fine.
“Avevo paura di non rivederla più. Ma non ho mai perso la speranza. Non ho mai mollato", racconta la mamma che oggi può dire di avercela fatta. "Quando l’ho vista non potevo crederci.
L’ho presa in collo ed è stato l’abbraccio più bello della mia vita - ci racconta Stefania - poi, è salita in macchina e mentre andavamo a casa non sono riuscita a guardare la strada neanche per un minuto. La osservavo ridere, giocare di nuovo con i suoi pupazzi e pensavo che nessuno riuscirà più a portarmela via. Quello che ho vissuto è un incubo che non augurerei a nessuno".
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