Calcio razzista? Più squalifiche e meno crociate

In una società che affronta tutto con un manicheismo da ultrà, è impossibile pretendere razionalità nel caso del presunto insulto razzista rivolto da Acerbi a Juan Jesus

Calcio razzista? Più squalifiche e meno crociate
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In una società che affronta tutto con un manicheismo da ultrà, è impossibile pretendere razionalità nel caso del presunto insulto razzista rivolto da Acerbi a Juan Jesus. Senza illuderci di riuscirci, proviamo a farlo qui.

1. Va chiarito cos'è successo. Difficilmente Juan Jesus può essersi inventato tutto, soprattutto dato che ha riferito delle «scuse» di Acerbi. Ma sta alla giustizia sportiva ricostruire la dinamica, le parole usate. Il nerazzurro ha giurato che non vi era alcun intento razzista e discriminatorio, di fatto ammettendo in parte, poi ha negato la «N word», parlando di fraintendimento.

2. Bene ha fatto il ct Spalletti a sospendere il giocatore dalla Nazionale. L'Azzurro non si intona con l'opacità di accuse di razzismo o scommesse, anche se non ancora confermate.

3. Se l'insulto c'è stato, per di più nella giornata della lotta al razzismo, deve essere punito perché a infrazione del regolamento (articolo 28 del Codice di giustizia sportiva «Comportamenti denigratori») deve corrispondere sanzione. Non ci può essere dubbio.

4. Le squalifiche e le ammende, però, non hanno il dovere di essere «esemplari»: devono essere severe e giuste. Chiedere pene medievali, la gogna o il marchio di infamia, non aiuta a risolvere il problema e crea solo i presupposti per guerre ideologiche stucchevoli.

5. Altrettanto, il giustificazionismo spolverato di benaltrismo non è più accettabile. Il trash talking, l'arte velenosa di insultare l'avversario per fargli saltare i nervi, è antica, e con gli insulti alle parenti di Zidane ci abbiamo pure vinto un Mondiale, a dirla tutta. Offendere le madri altrui può essere feroce anche più di una parola razzista, è vero. Ma rientra nel perimetro di quel che si può fare. Giusto, sbagliato, ipocrita? Può darsi, la sensibilità singola è diversa. Ma la società e il calcio hanno preso la sacrosanta strada di impegnarsi a debellare ogni forma di razzismo dai «buu» in giù, per cui quel tipo di insulto semplicemente non è più tollerabile. È l'ultimo tabù rimasto.

6.

In conclusione, servirebbero una giustizia sportiva veloce e seria, un'eventuale punizione commisurata ad eventuali aggravanti o attenuanti e poi la cosa più utopistica, ovvero evitare le crociate di massa. Se «negro» è stato detto, Acerbi ha commesso un errore grave. Lo si squalifichi. Non se ne faccia un paladino della libertà di espressione e non lo si dipinga come il capo del Ku Klux Klan.

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