Si riconoscono dalle insegne verdi e dall’immancabile foglia di canapa che campeggia quasi ovunque. Ormai in tutte le città italiane ce n’è almeno uno. Stiamo parlando dei grow shop, negozi dove è possibile acquistare infiorescenze, semi e tutto l’occorrente per la coltivazione della marijuana fai-da-te. L’unica differenza con i coffee shop olandesi è che qui l’erba non si consuma e non ti “sballa” perché il tetraidrocannabinolo, la sostanza psicotropa presente nei fiori di cannabis comunemente detta THC, è inferiore ai limiti di legge (0,6%).
Il boom della marijuana light
Negli ultimi anni la cannabis light ha fatto registrare un vero e proprio boom: oltre trecento aziende hanno scelto di commerciarla nel nostro Paese. Trenta soltanto nel Lazio, mentre in Campania c’è chi ormai organizza veri e propri corsi di formazione per gli operatori del settore sugli “aspetti normativi” di questo nuovo business e sulle “nuove tecnologie di coltivazione”. “Le infiorescenze provengono tutte da semenze certificate dall’Unione Europea come a basso contenuto di THC”, ci spiega Andrea Glofoni, uno dei titolari di “Joint Grow”, franchising nato l’anno scorso, che già conta tre punti vendita nella Capitale e mira ad espandersi ulteriormente. Oltre a semi e fiori di canapa qui si possono acquistare fertilizzanti, articoli per fumatori e prodotti cosmetici a base di marijuana. L’erba light, però, è il prodotto che va per la maggiore. Si tratta di scarti della canapa coltivata a scopi industriali, che vengono trattati, confezionati e messi sul mercato. L’età dei consumatori parte dai 18 e arriva ai 70 anni. “La maggior parte sceglie i nostri prodotti per rilassarsi preparando infusi o fumandoli in alternativa alle sigarette”, dice il negoziante. L’effetto rilassante è dato dall’elevato tasso di cannabidiolo, una molecola non psicoattiva che favorisce la distensione e ha proprietà antinfiammatorie. E se i consumatori dell’erba tradizionale sono in maggioranza uomini, a parere del commerciante, ad optare per le “canne light” sarebbero soprattutto le donne.
Un business sul filo della legalità
Infiorescenze e semi, però, chiarisce il titolare del grow shop, sono venduti solo a scopo “collezionistico”. In Italia, infatti, chi coltiva la marijuana, anche per uso personale, commette un reato. Proprio lo “stratagemma” della vendita delle semenze al solo fine “della conservazione della specie” fa sì che il business diventi a tutti gli effetti legale. “Sai quanta gente fa così”, ci confessa un cliente di un altro grow shop, “l’assurdo è proprio questo, se vuoi vai lì, compri tutto e fai come ti pare”. “Ci sono padri di famiglia che preferiscono avere la piantina a casa piuttosto che andare a San Basilio”, racconta Glofoni, “poi se è più giusto andare dallo spacciatore o coltivarsi una piantina ognuno lo sceglie autonomamente”. “Abbiamo i semi normali, buoni, però il THC è alto - ammette un altro negoziante a telecamere spente - è illegale ma non mi chiedere perché li vendiamo, stiamo qui da dieci anni ed è così”. “Se mi trovano con il barattolo di erba leggera aperto è possibile che me lo sequestrino per controllarlo”, ci spiega convinto un altro ragazzo.
Il primo passo verso la legalizzazione?
Lo scopo è quindi quello di “creare un precedente per spingere il legislatore a regolamentare questo commercio”, mentre il Parlamento si prepara ad approvare, entro fine legislatura, la legge che disciplina l’uso della cannabis a scopo terapeutico. Intanto, grazie ai grow shop, assicura il negoziante, “sono molte le persone che si avvicinano alla marijuana”. “C’è differenza a livello di sapore e c’è differenza a livello di effetto”, ci dicono alcuni ragazzi che consumano abitualmente la sostanza stupefacente dopo aver provato la versione leggera, “ma non c’è differenza a livello di utilizzo perché comunque ti stai facendo una canna”.
Ma ci sono rischi per la salute connessi a questo comportamento? “I cannabinoidi sono sostanze che interagiscono con specifici recettori del sistema nervoso centrale e pertanto determinano degli effetti psicoattivi - illustra il dottor Marco Di Nicola, psichiatra e dottore di ricerca del Policlinico universitario “A. Gemelli” di Roma – affermare che i cannabinoidi sono innocui, quindi, non è corretto”. “Se il principio attivo è basso e questo aspetto viene controllato possiamo aspettarci che non si verifichino effetti direttamente collegati al principio attivo”, aggiunge l’esperto, ricordando però che la dipendenza verso una sostanza è generata da molteplici fattori, tra cui spicca il grado di “vulnerabilità” che varia da individuo a individuo.
Lo psichiatra mette in guardia, infine, sui rischi della coltivazione diretta: “In questo caso non è possibile esercitare un controllo sulle percentuali dei diversi principi attivi e il soggetto risulta esposto ad una maggiore tossicità”. È troppo presto, invece, per dire se fumare cannabis light presenti o meno degli effetti collaterali nel tempo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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