Sembra uno scherzo. Invece, a sei giorni esatti dalla vigilia di Natale, il governo è ancora davvero alle prese con un «serrato confronto» sulle misure anti-Covid per le feste. Il Dpcm, forse accompagnato da un decreto, arriverà magari oggi. O, se a Palazzo Chigi dovessero prendersela proprio comoda, domani. Con in ballo dettagli tutt'altro che marginali. Perché accompagnare l'annunciata «zona rossa» nazionale dal 24 dicembre al 3 gennaio con deroghe per parenti di primo e secondo grado significa di fatto aprire agli spostamenti. Che, tradotto, equivale ad una finta «zona rossa». Un scherzo, appunto. Almeno rispetto al rigore professato nelle ultime 48 ore. Un'incertezza continua che - al netto di chi abbia ragione tra i teorici del rigore e quelli delle maglie larghe - è davvero la situazione peggiore. Quella che più alimenta l'insicurezza, sociale ed economica. E, come ha fatto più volte notare il ministero dell'Interno nelle ultime ore, quella che più rischia di alimentare disagio, insofferenza e, se le cose dovessero proprio andare male, anche disordini. Una preoccupazione condivisa anche dal Quirinale.
Ma tant'è. D'altra parte, sono settimane che il governo è in altre faccende affaccendato. Ed è ormai del tutto evidente che le priorità del premier e dei partiti di maggioranza sono molto più legate alle politica che alla vita reale di un Paese che da giorni è in fibrillazione nell'attesa di sapere come, dove e quando potrà passare il Natale. Così, a sei-giorni-sei dalla vigilia, non c'ancora nessuna certezza del domani. Ai suoi interlocutori Conte chiede tempo, manda a dire che «c'è ancora bisogno di trovare il punto d'equilibrio». Creando un clima ai limite del surreale, tanto che quando il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia incontra a metà pomeriggio i governatori delle Regioni, l'Upi e l'Anci non può che recitare lo stesso spartito. «Scusate, ma il premier è in Libia per la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo», dice ad alcuni interlocutori con un tono che, stando ai racconti dei presenti, è la presa d'atto di una paralisi che va ormai avanti da troppi giorni. Non è un caso che tra i governatori ci sia chi, come il veneto Luca Zaia, decide di smarcarsi dai tempi biblici del governo e anticipa le restrizioni.
Ma Zaia non è costretto all'angolo da una verifica strisciante che è ormai in divenire da settimane. Non è sotto il fuoco incrociato del Pd e di Luigi Di Maio, per non parlare di Matteo Renzi che bombarda il premier da giorni. Ieri sera l'incontro tra Conte e la delegazione di Italia viva è durato una quarantina di minuti, compreso il tempo di salire in ascensore fino allo studio del premier, togliersi le giacche e recitare i convenevoli di rito. Insomma, giusto il tempo di dire «ciao» e consegnargli un documento di cinque pagine per poi far sapere all'esterno che «adesso Renzi attende di conoscere le decisioni del premier». Che è ben conscio di quanto la crisi di governo sia vicina e di come l'ombra di un nome pesante come quello di Mario Draghi stia condizionando il dibattito politico. Non solo nella maggioranza, ma pure nell'opposizione.
Queste sono le ragioni della paralisi. Da cui Conte prova a smarcarsi cercando di puntare su un consenso che negli ultimi mesi è andato costantemente calando.
E che ieri ha provato a rilanciare con l'inusuale passerella in Libia per la liberazione dei pescatori italiani. Un viaggio a sorpresa a Bengasi per incontrare il generale Khalifa Aftar, che ad oggi non ha alcun riconoscimento dalla comunità internazionale. Mentre l'Italia aspetta.
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