La contropartita? Fermare la follia del "green deal"

Le mosse del governo. Le condizioni per il no all'Ursula bis

La contropartita? Fermare la follia del "green deal"
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La contropartita per l'appoggio all'Ursula-bis dev'essere la revisione profonda del Green Deal, non chiudere qualche occhio su deficit e Pnrr. Le urne hanno decretato che sì, Popolari, Socialisti e Liberali possono ancora esprimere una Commissione, che è il vero centro di potere della politica europea. Però, visto che ogni partito si presenta alle elezioni con un bagaglio di elettori fedeli, non basta contare freddamente i voti, ma occorre misurare l'incremento/decremento dei consensi per cogliere il messaggio politico dei cittadini. I socialdemocratici hanno perso appena il 4%, a conferma che la fedeltà paga. I grandi sconfitti sono stati i Verdi, con un quarto in meno dei 71 seggi conquistati nel 2019 grazie a Greta, seguiti a ruota dai liberali (si scrive Renew Europe, si legge Macron) che hanno perso 22 dei 101 seggi. Insomma, ve li ricordate i gilet gialli e i trattori? Beh, hanno votato.

La socialdemocrazia europea esprime un capitalismo dal volto keynesiano e ci sta che si alternino maggioranze più di destra, tese a favorire l'impresa e la produzione di ricchezza, o più di sinistra, per redistribuirla verso le fasce più deboli, purché entrambe puntino a migliorare il benessere e la vita dei cittadini. Il Green Deal non è nè di destra nè di sinistra. È espressione del movimento ambientalista, che mal digerisce la presenza dell'uomo sulla Terra, specie quello occidentale. Poi certo, è sostenuto dalla sinistra, la cui missione di contrastare il consumismo su scala internazionale le consente di scavalcare con agilità i confini europei per abbracciare l'intero pianeta. Un retaggio di quando i socialisti di tutto il mondo si sarebbero dovuti unire contro il capitalismo. Il tentativo portò più problemi che soldi e comunque finì tra le macerie di un muro crollato sotto il peso della miseria, anche se l'amore per quel retrogusto di povertà è rimasto.

I fatti stanno diversamente. I poveri sulla Terra ci vogliono stare, senza morire di fame anzi aumentando produzione e consumi, che sono la principale fonte di emissioni climalteranti e l'unica in crescita. Le fasce deboli europee invece non vogliono rinunciare alla sicurezza e al benessere, per poco che sia, e pertanto rifiutano la decrescita infelice. Di fronte a questa realtà il Green Deal si pone fuori dallo schema destra/sinistra, in quanto non favorisce né gli interessi del capitale né quelli dei lavoratori, ma li contrasta entrambi perseguendo l'impoverimento dell'Europa. Senza peraltro conseguire alcun effetto sul clima, visto che le emissioni europee sono ininfluenti e in calo dal 1980.

Concludendo, la firma sotto il Green Deal è quella della Commissione Ursula-uno a trazione Timmermans, i numeri per un'Ursula-bis ci sarebbero pure, col rischio dei franchi tiratori, ma le urne suggeriscono di rivederlo profondamente mettendo al centro gli interessi europei: Europa first. E poi c'è l'Italia, Paese importante con un premier che è anche capo di ECR, il quarto partito con 73 seggi. Magari il consenso di Giorgia non è necessario, ma il suo dissenso sarebbe destabilizzante. Ursula lo sa e la sua domanda a Giorgia è: cosa vuoi per non farmi uscire di strada alla prima curva, sempre che non venga impallinata già ora dal fuoco amico? Il prezzo non può essere un piatto di lenticchie, tipo qualche decimale di sforamento sul deficit o il pagamento più veloce delle rate del PNRR. Sì, sono soldi che a ogni Governo servono per compiacere gli elettori, ma niente in confronto al disastro economico del Fit-for-55.

Già l'industria dell'auto europea è bella che andata e Pechino ringrazia. Che diranno gli italiani quando la direttiva Case Green avrà svalutato i risparmi di una vita? No, l'obiettivo è uno e uno solo: fermare il Green Deal. Niente di meno.

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