Il coraggio di Artemisia, la viltà del suo orco

Artemisia Gentileschi e Agostino Tassi, una a fianco dell'altro, nella mostra della Fondazione Cavallini Sgarbi al castello di Ferrara

Il coraggio di Artemisia, la viltà del suo orco

In una recente mostra su Artemisia, la grande pittrice caravaggesca, l'ottima curatrice Francesca Baldassarri prevalse sull'altro curatore, non meno meritevole, ma costituzionalmente maschilista, Nicola Spinosa. Molti, moltissimi sanno che la valorosa pittrice ha raggiunto una straripante fama oltre che per il suo merito pittorico anche per il suo coraggio, inaudito all'epoca. Giovanissima e certamente bella, come ci dicono i suoi vanitosi autoritratti in diversi travestimenti, fu oggetto di attenzioni da amici del padre, che non le risparmiarono anche pesanti aggressioni. Uno di loro, il più ardito, pittore elegante e raffinato, Agostino Tassi, nel 1611 la violentò.

Il seguito è noto. Il furfante, non accettando il richiesto matrimonio riparatore, fu denunciato dal padre di Artemisia, Orazio Gentileschi, e condannato a cinque anni. Non scontò la pena, e continuò a dipingere porti, pieni di velieri, anticipando la stagione del vedutismo. Tanto alto è il suo prestigio che da lui viene il primo pittore di paesaggio del Seicento: Claude Lorrain. Eppure, la gravità della sua colpa è tale che la Baldassarri non volle nessuna sua opera nella mostra di Artemisia, pur affollata di dipinti di altri e affini maestri.

Soltanto oggi si ritrovano Artemisia e Agostino, una a fianco dell'altro, nella mostra della Fondazione

Cavallini Sgarbi al castello di Ferrara, dove io ho inteso riunirli. D'altra parte ricorre, per questa occasione, un fausto anniversario: Agostino morì il 12 marzo del 1644. Che la sua anima non finisca di bruciare all'inferno.

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