Quelle che scorrono sono ore segnate dalla massima attenzione e d’allarme verso un nuovo problema di carattere sanitario per l’Italia a causa del coronavirus. Non un problema legato a forme di contagio sviluppatesi fra gli italiani irrispettosi delle regole di igiene e sicurezza personale e interpersonale ma un fattore di rischio proveniente dai migranti approdati nel territorio nazionale negli ultimi giorni. Già perché due di loro sono risultati positivi ai tamponi sul Covd-19. Per un terzo arrivato invece v’è ancora da attendere il risultato del tampone. Nello specifico, a risultare positivi ai test sono un migrante di origini pakistane giunto in Calabria lo scorso 13 giugno attraverso una barca a vela dalla Turchia e un migrante algerino arrivato in Sardegna a metà mese. Quest’ultimo ha avvertito i sintomi della malattia all’interno del centro di accoglienza Monastir.
Per quanto concerne la situazione di Agrigento il migrante di cui si sospetta il possibile caso da coronavirus è ancora da accertare. L'uomo si trovava a bordo della nave Moby Zazà quando ha avvertito i sintomi del malessere e adesso è ricoverato all’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento. Proprio lì, il reparto Covid è stato chiuso il 12 giugno scorso visto i dati incoraggianti registrati nel territorio provinciale in coincidenza con la fase 3. Adesso, in virtù di questa situazione e dei possibili nuovi rischi che il fenomeno migratorio rappresenta, non è da escludere che il reparto possa essere riaperto anche se dall’ospedale ancora non è trapelata alcuna voce ufficiale in tal senso.
Le rotte “positive” che preoccupano l’Italia
Considerato quanto accaduto nelle ultime ore, per l’Italia si apre il serio rischio di nuovi focolai accesi dai migranti che non seguono una sola rotta. Quello che è accaduto fa capire infatti come la Nazione sia circondata su più fronti: la rotta turca che interessa la Calabria, la rotta libica che interessa la Sicilia e quella algerina che incide sulla Sardegna. Un campanello d’allarme che sottolinea come l’Italia potrebbe trovarsi da un momento all’altro a fronteggiare un forte rischio.
In questo contesto i riflettori sono accesi sul fronte turco dove si guarda con sospetto agli arrivi dal Pakistan. Al momento nel territorio nazionale si contano 144 mila casi di contagio da coronavirus e più di 2.700 vittime. Si tratta di numeri destinati a salire in modo impetuoso come fanno sapere le autorità di Islamabad che parlano addirittura di un raddoppio di casi a fine mese e di un milione di contagiati a fine luglio. Nonostante le restrizioni basate sul distanziamento sociale e sul rispetto delle misure di igiene, la situazione non lascia spiragli di luce. La fase che vive il territorio pakistano dunque non fa ben pensare per quelli che potrebbero essere i prossimi arrivi nel territorio italiano, a maggior ragione se non controllati.
La situazione in Libia
Sul fronte sanitario, a creare anche preoccupazioni in queste ore è la Libia. Proprio 48 ore fa il governo di Tripoli guidato da Fayez Al Sarraj ha annunciato la proroga delle misure di distanziamento sociale almeno fino al 27 giugno prossimo. Segno di come nel Paese qualcosa al momento non quadri. I numeri, per la verità, almeno ufficialmente appaiono bassi: in totale, le autorità tripoline hanno annotato dall’inizio della pandemia 467 casi, tra questi in 10 occasioni le complicazioni hanno portato alla morte dei pazienti. Il primo caso di coronavirus in Libia è stato registrato il 26 marzo scorso, si trattava di un paziente di ritorno da un viaggio in Arabia Saudita. Da allora, in tutto il Paese si è scatenata la paura per una possibile diffusione dell’epidemia su larga scala. Anche perché la situazione, soprattutto a Tripoli, da un punto di vista militare proprio in quelle settimane ha iniziato a precipitare per via della ripresa della battaglia attorno la capitale.
La mancata certezza sui dati del contagio
Come si sa la Libia è un Paese in guerra lacerato da divisioni e dalla presenza di centinaia tra fazioni e gruppi che controllano il territorio. In un contesto del genere è difficile controllare un eventuale avanzamento del coronavirus, così come è apparso subito proibitivo poter fornire dati certi: “I numeri ufficialmente sono bassi – commenta l’analista Alessandro Scipione – Ma la situazione sul campo non permette di poter considerare del tutto affidabili i dati delle autorità”. Anche perché di governi che in Libia si contendono il potere ce n’è almeno due: oltre a quello di Al Sarraj insediato a Tripoli, c’è l’esecutivo provvisorio non riconosciuto internazionalmente stanziato in Cirenaica. Tra i due governi è nata sul coronavirus una guerra nella guerra, volta a mostrare alla popolazione chi potrebbe essere in grado di gestire meglio l’emergenza.
Entrambi gli esecutivi hanno imposto misure di distanziamento sociale e coprifuoco notturni. Nelle ultime ore il governo di Tripoli ha registrato 13 nuovi casi di contagio, soltanto oggi quello presente in Cirenaica invece almeno 3. Come detto in precedenza, Al Sarraj ha deciso di prolungare le misure di contenimento anti Covid fino al 27 giugno, questo potrebbe indicare una situazione ben più grave di quella trapelata dai dati ufficiali. Ed anche le Nazioni Unite hanno in tal senso lanciato l’allarme: in un report del 14 maggio scorso in particolare, è stata espressa preoccupazione per l’incidenza che il coronavirus potrebbe avere su una Libia già presa gravemente dalla guerra.
Le preoccupazioni per l’Italia
Quanto trapela dal Paese nordafricano è fonte dei maggiori timori per l’Italia sul fronte immigrazione. Anche perché se è già difficile valutare la situazione complessiva della Libia, a maggior ragione appare arduo capire il contesto sanitario riguardante i campi di accoglienza dove migliaia di migranti sono attualmente rinchiusi. E da dove molti di loro sarebbero pronti a partire già nelle prossime settimane. Lo si evince anche da un recente report dei servizi segreti, secondo cui almeno ventimila migranti attualmente detenuti in Libia potrebbero salpare dalle coste nordafricane.
I campi gestiti dal governo si presentano in condizioni proibitive, molte di queste strutture sono state chiuse ad inizio emergenza proprio perché potenziali focolai invettivi. Poi ci sono i campi gestiti dalle associazioni criminali dei trafficanti, dove è impossibile anche solo andare a verificare la situazione.
Se l’epidemia dovesse prendere piede all’interno dei centri, il rischio è che decine di migranti potrebbero contrarre il virus. E, da qui, sbarcare poi in Italia veicolando quindi il Covid. Uno scenario che, alla luce di quanto sopra descritto e degli episodi riportati ad inizio articolo, non appare affatto remoto.
Anche perché occorre considerare un altro elemento: i migranti potrebbero ammalarsi in Libia, così come arrivare nel Paese nordafricano con il coronavirus. Nigeria e Costa d’Avorio, due delle nazioni da cui si parte alla volta della Libia, non sono del tutto immuni dalla pandemia. L’attenzione su questo fronte è quindi tutt’altro che da ridimensionare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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