La verità sui file pedopornografici: così Stasi è diventato il mostro perfetto

Subito dopo l'omicidio di Chiara Poggi, per Alberto Stasi arriva l'accusa di detenzione di materiale pedopornografico. Determinante, in questo caso, la consulenza tecnica del Ris di Parma. Eppure anche in questo frangente, le cose non tornano. Ecco perché

La verità sui file pedopornografici: così Stasi è diventato il mostro perfetto

Al giorno d’oggi, le modalità di accesso alla pornografia sono cambiate da come poteva essere nel 2007. Lo streaming permette un accesso pressoché immediato e relativamente sicuro a una quantità enorme di siti internet “in chiaro” – cioè accessibili attraverso i più comuni motori di ricerca – che mettono a disposizione una vasta gamma di filmati che, per essere visti, non necessariamente devono essere scaricati.

Alla luce di questo, l’Anno Domini 2007 può apparire come il Medioevo in materia informatica e, nello specifico, della pornografia online. Chi infatti già all’epoca (parliamo di 15 anni, che per Internet equivale a qualche era geologica sulla terra, ndr) bazzicava sulla rete, non può non ricordare nomi come Emule, Morpheus, Lime Wire.

Questi network, come molti altri, erano basati sul peer to peer, un sistema di condivisione ancora in uso, ma che all’epoca era una delle modalità principali che consentivano di accedere a contenuti pornografici. Non che non esistessero siti come Pornhub, semplicemente la diffusione di certi sistemi era notevolmente superiore a quanto non sia oggi.

Perché questa premessa? Perché non si può affrontare il tema del delitto di Garlasco senza soffermarsi sull’accusa che, a poca distanza dall’omicidio di Chiara Poggi, venne mossa ad Alberto Stasi: oltre che essere sospettato – e poi accusato – di aver massacrato la sua fidanzata, Stasi fu indicato come pedofilo. Sui suoi dispositivi elettronici, infatti, a seguito di una prima consulenza tecnica del Ris di Parma, venne trovata non solo un’ingentissima quantità di materiale pornografico (e, in quanto tale, legittimo, ndr), ma ben presto sui media iniziarono a rimbalzare all’impazzata notizie riguardo una presenza su questi dispositivi di materiale – immagini e video – pedopornografico.

Orrore che si aggiunge all’orrore. Stasi diventa il mostro perfetto e all’accusa viene fornito anche il movente per dimostrarlo. Omicida e anche pedofilo. Per l’opinione pubblica – bombardata dai media sovreccitati da una storia che aveva tutti i numeri per essere una grande storia – è già condannato.

La domanda a questo punto sarebbe lecita: perché dopo una sentenza di Cassazione che lo assolve con formula piena “perché il fatto non sussiste” torniamo a parlare di questa vicenda? Proprio per il motivo di cui sopra: il tamburo mediatico cominciato nel 2007 e che ha continuato a martellare almeno fino al 2014 (la data di assoluzione è quella del 16.01.2014, ndr), ha cristallizzato nella memoria collettiva una “verità” difficile da scardinare e che ancora oggi, a distanza di tanti anni, di tanto in tanto riemerge: Alberto Stasi è un mostro. E nel suo computer deteneva materiale pedopornografico.

Leggendo la documentazione dei processi, tuttavia, la verità che si palesa è diversa da quella propinata per anni su programmi televisivi e giornali. O meglio, quella verità propinata per anni era solamente una parte della vicenda, quella più pruriginosa, quella che, opportunamente veicolata, indignava, che colpiva allo stomaco. Quella che alzava lo share televisivo e permetteva di vendere qualche copia in più in edicola. La parte più tecnica sui giornali e nei programmi tv non c’è mai finita. E se c’è finita, è stata interpretata a piacimento.

Prima di entrare nel merito, una considerazione inquietante: se nel 2007 una procura della Repubblica avesse disposto una perizia tecnico forense sui computer dell’intera popolazione italiana, probabilmente si sarebbero contati centinaia di migliaia di casi di pedopornografia. No, non è una provocazione. È la realtà. E ora cercheremo di spiegarvi il perché.

Quello sulla pedopornografia è stato per Stasi un processo parallelo rispetto a quello per l’omicidio di Chiara, questo per la decisione presa in udienza preliminare dal Gup Stefano Vitelli. E se per l’omicidio la scelta di Stasi è caduta sul rito abbreviato, per l’accusa di pedofilia l’imputato ha scelto il rito ordinario. Giusto per chiarezza, richiamiamo brevemente l’iter di questo secondo processo.

Alberto Stasi e il processo per pedopornografia

Accusato inizialmente di detenzione e divulgazione di materiale pedo-pornografico, il Gup emette sentenza di non luogo a procedere per una parte dell’accusa, rinviando a giudizio per la detenzione. A questo punto, la procura di Vigevano impugna la sentenza di non luogo a procedere in Cassazione, impugnazione che viene dichiarata inammissibile perché proposta fuori termine. Passata in giudicato la sentenza di non luogo a procedere, Stasi va a processo per la detenzione di alcuni frammenti di materiale pedopornografico e viene condannato in primo grado a una multa di circa 2mila euro; condannato poi in Appello, il 16 gennaio 2014 viene assolto in Cassazione perché il fatto non sussiste e non costituisce reato. Questa, in estrema sintesi, la storia processuale.

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Veniamo ora al succo e cominciamo con un’affermazione che, ce ne rendiamo conto, può risultare frutto di partigianeria, ma che in realtà è tratta dalla perizia disposta nei gradi di merito e richiamata nella sentenza della Corte di Cassazione: il materiale ritrovato nei dispositivi di Stasi era costituito da frammenti non visibili. Nello specifico, precisa la Corte di Cassazione, erano “frammenti di file incompleti e non coordinati tra loro, in quanto tali non visionabili. Gli stessi erano allocati in una parte del computer in cui non vi è prova, anche alla luce dei programmi software di cui disponeva, che lo Stasi potesse accedere”. Che cosa significa?

Significa che questi frammenti sono stati recuperati solo attraverso avanzati sistemi informatici forensi e che quindi non erano accessibili ad un normale utente, che addirittura poteva non sapere nemmeno ve ne fosse traccia sul proprio pc. Per quanto riguarda i filmati (discorso a parte per le immagini, ndr), sempre citando la perizia degli ingegneri Roberto Porta e Daniele Occhetti, nominati dal Tribunale, “è opportuno evidenziare che attraverso l’impiego di software 'peer to peer', risultano messi in discussione gli aspetti di consapevolezza e di detenzione. In primo luogo vi è da rilevare che le reti 'peer to peer' contengono una quantità di materiale pedo-pornografico molto più elevata del mondo web costituito dalle pagine accessibili a mezzo dei comuni browser (questo perché le reti 'peer to peer' risultano meno controllabili e richiedono software specifico per il loro accesso) [....] Lo scaricamento dei file avviene poi tramite selezione che può anche comprendere più file insieme. L’utente, però non può avere consapevolezza della reale natura di un contenuto multimediale sino a quando (almeno parte rilevante di esso) non risulta già scaricata e memorizzata sul suo disco fisso”.

In sostanza, messo in scaricamento un file, i frammenti che lo compongono possono risultare presenti all’analisi forense del pc anche laddove lo scaricamento non si sia mai completato e, dunque, l’utente non abbia mai avuto/visionato quel file. Secondo la perizia che ha portato alla sentenza di Cassazione, le condotte di Alberto Stasi non appaiono “tipiche di chi intende fruire di contenuti pedopornografici”.

In poche parole, secondo la sentenza di Cassazione, i primi due processi (quelli veri, non quelli mediatici, ndr) non hanno fornito le prove che Stasi avesse volutamente cercato, scaricato e detenuto quei frammenti che, lo ripetiamo, non erano fruibili da un utente medio quale Stasi era, ma che sono stati recuperati solamente grazie a sofisticati strumenti utilizzati da persone esperte.

Ma c’è di più: quello che troviamo nella perizia di Porta e Occhetti – e che non ha trovato traccia nella narrazione giornalistica dei fatti – è anche una stilettata verso l’operato del Ris dei Carabinieri, i primi ad analizzare i dispositivi elettronici di Stasi. Anche qui, vale la pena riportare integralmente uno stralcio decisamente significativo: “L’esame dell’allegato alla relazione tecnica del R.I.S. denominato 'Allegato_01-7_Pedopornografia' esibisce numero 7 filmati dichiarati di natura pedo-pornografica ed individuati sul personal computer in uso a STASI Alberto. In merito a tali filmati i Periti d’Ufficio esprimono significativi dubbi in merito al risultato dell’analisi condotta dal R.I.S. e, in particolare, alle tecniche di recupero dell’informazione utilizzate. La visualizzazione dei filmati ha effettivamente evidenziato contenuti di natura pedo-pornografica che però risultano frame o porzioni video di breve durata collocati all’interno di altri filmati di natura non pedo-pornografica. In particolare alcuni filmati ('_f67604920.mpg' e '_f71170912.mpg') esibiscono la stessa sequenza di frame o di porzioni video di natura pedo-pornografica e questo lascia presupporre che le tecniche utilizzate per il recupero di tali contenuti multimediali non abbiano in concreto prodotto un risultato attendibile ricostruendo filmati che, in concreto, potrebbero non esistere in concreto, nella forma in cui sono stati presentati”.

Cerchiamo di spiegare: secondo i periti, il materiale pedo-pornografico rinvenuto nei dispositivi di Stasi era stato scaricato involontariamente, letteralmente “appiccicato” in forma di frame, quindi di frammento, a materiale lecito di natura pornografica. A seguire, il Ris avrebbe “ricostruito” dei filmati unendo questi frame in modo – stando alla valutazione dei periti – del tutto arbitrario.

scheman processi stasi

Prendiamo ancora un estratto della perizia: “L’esame dell’allegato alla relazione tecnica del R.I.S. denominato “Allegato_01-8_EmulePedopornografia” esibisce numero 2 filmati dichiarati di natura pedo-pornografica ed individuati sul personal computer in uso a STASI Alberto. In merito a tali filmati i Periti d’Ufficio esprimono ulteriori dubbi in merito al risultato dell’analisi condotta dal R.I.S. e, in particolare, alle tecniche di recupero dell’informazione utilizzate. I filmati visualizzati [...] appare [sic] un aggregato di parti video aventi dimensioni e contenuto differenti (tra cui anche contenuti di natura pedo-pornografica). Appare inoltre significativo che il filmato termini con una porzione video di natura pornografica che coinvolge CHIARA Poggi e STASI Alberto (tale ultima porzione video corrisponde ad uno dei filmati rilevati sia sul personal computer in uso a POGGI Chiara che sul personal computer in uso a STASI Alberto). Anche in questo caso, quindi, uno o più filmati di natura pedo-pornografica cancellati e quindi destrutturati in cluster indipendenti, possono essere confluiti, all’atto dell’attività di recupero dell’informazione, in un unico filmato. Tale considerazione mette inoltre in discussione il fatto che il filmato, così come è stato rinvenuto, possa esser stato effettivamente scaricato da internet apparendo inverosimile l’ipotesi che STASI Alberto abbia pubblicato un filmato personale, inframmezzato a contenuti pornografici e pedo-pornografici e che abbia poi proceduto a scaricare il medesimo filmato dalla rete internet”.

Quest’ultimo passaggio pone due temi importanti. Uno già visto, quello della fruibilità del materiale pedopornografico e dell’intenzionalità nell’atto del suo reperimento, e l'altro che è quello del rapporto tra Stasi e la vittima, nonché sua fidanzata, Chiara Poggi.

Torniamo di nuovo sul primo punto. Valutando le tracce rinvenute nei dispositivi di Alberto Stasi, va detto che mentre i video, come visto, non risultano integralmente scaricati, le immagini hanno invece una dimensione infinitesimale. Affidiamoci alla perizia: “La risoluzione rilevata non raggiunge neppure i 640 x 480 pixel che è la risoluzione minima - risoluzione VGA - per considerare un’immagine fruibile a video o stampabile su carta. Tali dimensioni, più che ad immagini acquisite con il fine di fruirne, appaiono attribuibili ad “immagini di banner” che pubblicizzano siti o “immagini di anteprima” di raccolte video o “immagini di copertina” di siti internet che in realtà possono anche non risultare, all’atto dell’accesso, di natura pedo-pornografica”.

Il rapporto tra Stasi e la pornografia

Al di là degli aspetti puramente tecnici, può valer la pena fare anche un’altra considerazione. È vero, Stasi era più che attratto dal porno. Probabilmente ne era ossessionato e per questo non si limitava a scaricare video e immagini in quantità industriale, ma catalogava il tutto meticolosamente, dividendo i contenuti per categorie. Un comportamento, questo, condotto con serialità. La stessa cosa non si può dire del materiale pedopornografico che, oltre ad essere posizionato nel cluster non allocato dei suoi dispositivi, dunque in un’area non accessibile se non attraverso strumenti di informatica forense, non era archiviato. Questa differenza di trattamento dei due materiali – quello pedopornografico e quello lecito – esclude Stasi dal novero di coloro che abitualmente fruiscono di contenuti pedopornografici e che si comportano esattamente come lui faceva con il porno di natura lecita.

Veniamo ora alla parte più delicata, quella del rapporto tra Alberto Stasi e Chiara Poggi. In primis, ricordiamo che l’omicidio di Garlasco non ha un’arma del delitto e non ha un movente. Articoli piuttosto recenti, ancora oggi riportano che il movente più attendibile risieda nel fatto che, la sera precedente all’omicidio, dunque il 12 agosto del 2007, Chiara, rimasta momentaneamente sola e con il computer di Alberto a portata di mano, avesse scoperto la presenza di materiale pedopornografico.

Si tratta di un’evidente bufala, in quanto, come chiarito dalla Cassazione, non era mai stato presente materiale pedopornografico visibile e, inoltre, Alberto aveva effettuato una formattazione completa del suo pc almeno quattro mesi prima, nell’aprile 2007. Dunque se anche Chiara avesse cercato nel suo pc, non avrebbe potuto trovare nulla. Ce lo conferma anche un esperto di sicurezza informatica come Alessandro Curioni, presidente e fondatore della Digi Academy, docente universitario e security consultant della Leonardo Cyber & Security Academy: "Per trovare dei frammenti di video o delle immagini dopo una formattazione, la Poggi avrebbe dovuto avere dei tool [strumenti informatici, ndr] particolari per recuperare i dati, altrimenti non sarebbe potuta inciampare neanche per sbaglio in quel materiale".

Chi ha seguito assiduamente il caso potrebbe eccepire che però nel computer in uso a Chiara Poggi i periti hanno trovato delle ricerche fatte sulla pedofilia. Verissimo, ma di questo ci riserviamo di parlare in seguito, perché le cose da dire sono tante.

I video di Chiara Poggi e Alberto Stasi

Nella relazione dei periti si accenna a un video con contenuti pornografici che ritraggono Alberto e Chiara. Sulla natura di questi video, giustamente mai troppo pubblicizzata per rispetto della vittima, si è parlato nel corso dei processi. In particolare, l’avvocato della famiglia Poggi, Gianluigi Tizzoni, oltre a sostenere che Stasi – oltre che pedofilo – soffrisse anche di disturbi di natura sessuale, ha sostenuto che Chiara fosse stata obbligata a lasciarsi filmare e che anzi, forse proprio l’aver scoperto che i suoi video erano finiti archiviati in mezzo ad altro materiale pornografico potrebbe aver innescato la discussione che, al mattino del 13 agosto 2007, avrebbe portato all’omicidio.

Ecco, su questo specifico punto occorre una precisazione necessaria. Quei video (tre, per essere precisi, ndr) non lasciano intravedere alcun tipo di costrizione. Ciò che traspare è piuttosto un piacere condiviso che, senza dubbio, doveva restare nella sfera privata. In poche parole, Chiara non è stata obbligata e Alberto non era un sadico pervertito. Chi sostiene il contrario, non conosce i fatti.

Per concludere, torniamo alla considerazione iniziale: se nel 2007 una procura avesse disposto una perizia

forense sui dispositivi elettronici dell’intera popolazione italiana, probabilmente oggi nessuno di noi sarebbe innocente. Vale allora la pena di chiedersi: Alberto Stasi è davvero un mostro?

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