23 minuti per un massacro: tutti i punti bui del delitto di Garlasco

Nel corso della vicenda giudiziaria che ha visto sotto i riflettori Alberto Stasi, l'orario della morte di Chiara Poggi è sempre stato un elemento fondamentale che, a un certo punto, è stato plasmato alla bisogna

23 minuti per un massacro: tutti i punti bui del delitto di Garlasco

La seconda puntata di un'inchiesta sul delitto di Garlasco. Alberto Stasi è stato condannato in maniera definitiva per l'omicidio della sua fidanzata. Il nostro giornalista d'inchiesta, Gianluca Zanella, ripercorre, carte alla mano, le indagini e il processo mettendo in evidenza luci e ombre di uno dei primi casi mediatici di omicidio in Italia.

Alberto Stasi ha ucciso Chiara Poggi ed è stato condannato nel 2014 a 16 anni di reclusione. Facendo il conto della serva, tra un paio di anni potrebbe uscire. Non definitivamente, certo, ma al più tardi tra un decennio si sarà lasciato questa esperienza alle spalle. Come se fosse possibile lasciarsi alle spalle una condanna per omicidio. L’omicidio della propria fidanzata.

Sì, perché ad aver sfondato il cranio di una ragazza di 26 anni con un arnese certamente metallico e mai ritrovato, è stato Alberto Stasi. Lo dice la Cassazione dopo un processo schizofrenico, dove prima il biondino dagli occhi di ghiaccio sembrava innocente. Certo non puro come un agnellino, ma innocente. E poi cos’è successo?

Poi la giustizia terrena, quella degli uomini, delle donne, dei talk show televisivi e dei mass media in generale, ribalta tutto. Stasi è l’assassino di Chiara Poggi e a confermarlo sono – in particolare - sette evidenze indiziarie individuate dalla Corte d’Appello di Milano in sentenza di condanna e caratterizzate dall’essere gravi, precise e concordanti. Nell’ordinamento giuridico italiano, infatti, l’esistenza di un fatto (in questo caso la colpevolezza di Alberto Stasi) non può essere dedotta da indizi che non abbiano queste tre caratteristiche.

Tutto si deve reggere in piedi, tutto deve tenersi sul filo sottilissimo dell’equilibrio come le terzine di Dante nella Divina Commedia. Altrimenti non vale. Se uno solo dei tre aggettivi viene meno, crolla tutto. Allora serve la cosiddetta pistola fumante o si aprono le porte dell’irrisolto. E un cold case – per dirlo all’americana – non è una voce di cui andar fieri sul proprio curriculum. Soprattutto se il tuo mestiere è avere a che fare con la Legge.

È basandoci proprio su questo, sulla gravità, precisione e concordanza degli indizi, che nascono le nostre prime perplessità. E non sono perplessità di poco conto. Siamo partiti da una domanda, abbiamo cercato di darci una risposta e ci siamo accorti che molte, troppe cose non si incastrano tra loro come ci si aspetterebbe. Iniziamo proprio con quel processo che abbiamo definito "schizofrenico", affrontando di petto un dettaglio fondamentale in questa vicenda: l’orario dell’aggressione che ha portato all’uccisione di Chiara Poggi.

A che ora è stata uccisa Chiara Poggi?

Determinare esattamente l’ora di un qualunque delitto – in mancanza di altre evidenze come testimonianze, prove documentali, ecc. - non è cosa banale e una precisione assoluta è pressoché impossibile. Troppe sono le variabili. Senza entrare in tecnicismi, a contare per l’individuazione di una fascia di tempo entro cui collocare un omicidio ci sono l’umidità e la temperatura ambientale, quella corporea della vittima, il suo peso, l’inizio del rigor mortis, la presenza di macchie ipostatiche e tutta una serie di altri elementi che, variando, impongono una conseguente variazione di orario che, spesso (come in questo caso), indirizzano l’andamento di un processo.

Nell’omicidio di Garlasco, le prime operazioni medico-legali sono effettuate dal dottor Ballardini, il medico incaricato dal pubblico ministero, (già intervenuto sulla scena del crimine scattando foto, praticamente insieme ai medici del 118, ndr) a partire dal 13 agosto 2007, poche ore dopo l’assassinio. Da questi esami, emerge un primo punto fermo: all’intervento del 118, che giunge sul luogo del delitto alle 14.11, il corpo di Chiara Poggi non presenta né rigor mortis né ipostasi (ristagni di sangue dovuti alla gravità e determinati dalla posizione della vittima). Questo a indicare che l’aggressione (un’azione omicidiaria ritenuta “piuttosto veloce”, ndr) e la morte, molto probabilmente, non risalivano troppo indietro nel tempo. In sede di prima autopsia, infatti, il medico fissa l’orario presunto della morte tra le 10.30 e le 12. Vale la pena ricordare che Ballardini, fino al 2009, tutte le volte in cui è stato chiamato a fare controdeduzioni alle memorie della difesa (che, con il professor Avato (avvocato di Alberto Stasi), ha sempre collocato l’ora della morte tra le 9 e le 10) ha sempre confermato la sua posizione.

Passano circa due anni. Il 17 marzo 2009, nell’ambito del primo grado di giudizio di fronte al Gup di Vigevano – e prima che Stasi chiedesse il rito abbreviato – per l’imputato si mette male: il pubblico ministero, dottoressa Muscio, sostiene che Alberto abbia mentito sul suo alibi. A differenza di quanto da lui sostenuto, infatti, il pm dice che dopo le 10.17 del 13 agosto 2007 non ci sono tracce di una sua attività sul suo pc, dove aveva detto di aver passato la mattinata a scrivere la tesi di laurea. Considerando il fatto che in questa fase l’ipotesi ritenuta più solida è che Chiara Poggi sia morta attorno alle 11 di mattina, non serve un giurista per comprendere la gravità della posizione di Stasi. Per avvalorare la bontà della ricostruzione fatta in sede autoptica dal medico Ballardini, il pm dice testualmente: "La morte di Chiara deve collocarsi alle ore 11 circa e sicuramente non prima delle 10.30, poiché una lettura diversa renderebbe incongruo il risultato di almeno uno dei parametri rispetto agli altri dati”. Di più, per fugare ogni dubbio il pm esclude l’ipotesi di una morte tra le 9 e le 10 del mattino perché “palesemente contraddittoria con i parametri ed il comportamento dei fenomeni abiotici”, cioè delle evidenze scientifiche.

Nulla di particolarmente eccezionale, fin qui il processo segue una sua linea coerente, appunto scientifica, che nulla lascia presagire riguardo quella “schizofrenia” di cui abbiamo già accennato. In questo contesto, quello dell’alibi di Alberto (definito “falso e smentito”, ndr) viene considerato dal pm – comprensibilmente - come uno degli elementi indiziari a suo carico più gravi. Il Ris dei carabinieri (all’epoca guidato dal ben noto Luciano Garofano, generale e volto televisivo divenuto celebre grazie al programma Quarto Grado, ndr), infatti, eseguono una consulenza tecnica sul portatile di Alberto Stasi e lo incastrano.

Ecco cosa c’è scritto nella loro relazione: “Il computer è stato acceso alle 9.36, l’utente Alberto viene accreditato al sistema alle ore 9.37. Tra le 9.37 e le 9.57 vengono aperti file relativi a fotografie digitali (materiale pornografico, ndr). Alle 10.05 Stasi vede un filmato della durata di circa 4 minuti dai contenuti esplicitamente pornografici (...). alle 10.17 viene registrata sulla cronologia di Internet Explorer un evento relativo al file della tesi (...). Dalle 10.17 non sono presenti tracce informatiche che comportino la presenza attiva di un utente che interagisce con il pc (....). Quindi, un primo dato indubitabile oggettivo è che Stasi, nel racconto di quanto ha fatto la mattina del 13 agosto, ha mentito”.

Sempre il 17 marzo del 2009, nelle sue conclusioni il pm, confortata dalla perizia del RIS, dichiara: “Nell’arco di tempo in cui è stato consumato l’omicidio, cioè tra le 10.30 e le 12, più verosimilmente tra le 11 e le 11.30, Alberto Stasi non ha scritto la propria tesi di laurea, come invece ha sostenuto di aver fatto”. E ancora: “Tenuto infatti conto dell’ora della morte, così come sopra dettagliatamente indicata; tenuto conto che non vi è traccia informatica sul suo computer portatile della presenza di un operatore che interagisce con la macchina dopo le 10.17, Stasi ha avuto tutto il tempo per commettere l’omicidio, per cancellare ogni traccia direttamente a lui riconducibile e per costruire il ritrovamento casuale del cadavere. Non esiste un’ipotesi ricostruttiva dei fatti compatibile con tutte le emergenze probatorie diversa da questa”.

Delitto di Garlasco, gli errori nella perizia del Ris

Per Stasi sembra finita. Ma non è così. Nell’agosto dello stesso anno (il 2009, dopo che Stasi ha chiesto il rito abbreviato, ndr) una perizia informatica disposta dal Gup Stefano Vitelli rimescola, o meglio, sistema le carte in tavola. Stando alle risultanze, e in parole povere, i Ris avrebbero fatto diversi errori. Errori decisamente gravi. Citiamo testualmente parte del contenuto della perizia: “Con riferimento alle alterazioni esposte nella tabella B2.2, i Periti d’Ufficio sono concordi nell’affermare che a seguito degli interventi operati dagli inquirenti a partire dalla data del 14.08.07 sino alla data del 29.08.07, le alterazioni apportate in termini di sottrazione di contenuto informativo appaiono di significativa entità e per certo hanno imposto limitazioni concrete alle analisi svolte dal Collegio Peritale”. E ancora: “I Periti d’Ufficio sono concordi nel riscontro delle discordanze rilevate tra il verbale redatto dagli Ufficiali di Polizia Giudiziaria (...) e l’entità degli accessi effettivamente riscontrati sulle periferiche in esame. La conseguenza è che la ricostruzione temporale dell’operato di Alberto Stasi sul portatile è irrimediabilmente compromessa”. Per fortuna non è così. Nonostante le gravi manomissioni sui dispositivi di Stasi, i periti del Gup riescono a fare ciò che fino a quel momento sembrava impossibile. Ci arriviamo.

Per smentire l’alibi di Stasi, i Ris avevano posto l’accento, tra le altre cose, sulla mancanza dei file temporanei di Word che, se il ragazzo avesse realmente utilizzato per scrivere la tesi, sarebbero dovuti essere presenti. Ciò che accende il dubbio dei periti incaricati dal Gup, però, è l’assenza di file temporanei anche in riferimento alla sera precedente l’omicidio, il 12 agosto 2007, quando si aveva l’assoluta certezza che Stasi avesse lavorato alla sua tesi di laurea. Questo dettaglio fa emergere – come scritto nella perizia – “l’illogicità dell’assenza dei riferimenti” (cioè dei file temporanei, ndr).

A fronte di un’assenza di questi file temporanei riscontrata dal Ris, i periti trovano 400 riferimenti tra la sera del 12 agosto e la mattina del 13. Riferimenti puntualmente elencati in una tabella, dove emerge chiaro che Alberto Stasi, il giorno del delitto, abbia lavorato alla sua tesi dalle ore 10.20 fino alle 12.20 (ricordiamo che precedentemente, dalle 9.35 fino alle 10.20, aveva guardato materiale pornografico, ndr).

È una bomba. Stasi non ha mentito. Il suo alibi è confermato e granitico. I Ris hanno sbagliato, ma, cosa più grave, qualcuno ha mentito. I periti ci vanno giù pesante: “Gli scriventi sottolineano la particolare gravità in merito alla superficialità con la quale risulta redatto il verbale di Polizia Giudiziaria in quanto, se ammissibile, in ipotesi, la mancata consapevolezza nell’apporto di alterazioni ai supporti informatici, configurabile come un’azione condotta nella non consapevolezza degli effetti producibili, non appare invece ammissibile la mancanza di dettaglio nella verbalizzazione delle attività tecniche espletate”. Quando si fa riferimento al verbale di Polizia Giudiziaria, non ci si sta riferendo alla consulenza del Ris ma, appunto, al verbale dei carabinieri di Vigevano, i quali scrivono – in contrasto con la realtà dei fatti appurata dai periti – di aver solo visionato il pc di Stasi senza mai aver aperto il file della tesi. Il perché di questo atteggiamento non è spiegato né, forse, spiegabile.

Le cronache dell’epoca riportano il comprensibile scorno della pm Muscio, in particolare una sfuriata telefonica avvenuta tra il magistrato e un interlocutore del Ris. Improvvisamente, il pilastro principale dell’accusa crolla come un castello di carte, la teoria secondo cui Stasi avrebbe mentito viene meno.

Poi, improvvisamente, la magia. Dopo la tempesta agostana, bisogna trovare una soluzione. Non solo la procura, ma da due anni anche la stragrande maggioranza dei media si è scagliata contro Alberto Stasi in quanto colpevole di aver assassinato Chiara Poggi. Una marcia indietro è impensabile sotto tanti punti di vista, ormai le tessere del domino hanno iniziato a cadere una dopo l’altra e fermarle è impossibile, salvo ammettere di aver preso un abbaglio.

Nel settembre 2009, ecco ricomparire il medico legale Ballardini che – dopo aver sostenuto fermamente, come già accennato, i risultati dei suoi esami – arriva a mettere una pezza per trarre d’imbarazzo la procura, praticamente facendo marcia indietro rispetto a quelle che, fino a poco tempo prima, erano le sue granitiche convinzioni. In poche parole, il medico a settembre fa un’integrazione della sua consulenza e cambia l’orario della morte di Chiara, estendendo la forbice oraria a tutta la mattinata.

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Delitto di Garlasco, 23 minuti per un omicidio

Quello che accade da adesso in poi lo vediamo più nel dettaglio tra un attimo. Intanto – ai fini di una maggiore comprensione da parte di un pubblico che non necessariamente conosce la storia nel dettaglio e che, comprensibilmente, potrebbe perdersi per strada – possiamo anticipare che se fino a questo punto la discussione intorno alla morte di Chiara Poggi si è mossa su macro-orari, da ora in poi si arriva a parlare di minuti precisi. Esattamente i minuti in cui Alberto Stasi non ha un alibi. In buona sostanza, è l’orario della morte ad adattarsi all’alibi e non, come sarebbe giusto, viceversa. Vi chiederete come sia possibile. Ve lo raccontiamo.

Durante la requisitoria finale del 10 dicembre 2009 succede qualcosa. La pm Muscio, superato lo sconforto provocato dal pasticcio del Ris e confortata dall’integrazione di Ballardini, torna a parlare della forbice temporale, sostenendo che Chiara è morta o tra le 9.12 e le 9.35 oppure dopo le 12.20. Il giudice Stefano Vitelli interrompe l’arringa del pm, dicendo di non aver capito, e chiede alla dottoressa Muscio di essere più precisa: Chiara Poggi è morta nella prima o nella seconda fascia oraria? Dalle trascrizioni è piuttosto evidente un attimo di incertezza del pm, che alla fine dichiara che Chiara è morta dopo le 12.20.

Nel contempo, il legale della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni, porta all’attenzione dell’uditorio una contro-perizia medico-legale che, stando a quanto sosterrà nel corso di una lunga e articolata arringa, mette in discussione quella effettuata dal primo medico legale, Ballardini.

Ricordate cosa aveva sostenuto il pm nell’udienza del 17 marzo 2009? “Stasi ha avuto tutto il tempo per commettere l’omicidio, per cancellare ogni traccia direttamente a lui riconducibile e per costruire il ritrovamento casuale del cadavere”. Bene, stando alla perizia effettuata su mandato della famiglia Poggi da un altro medico legale, quel “tutto il tempo” si traduce in una manciata di minuti. 23, per l’esattezza. L’omicidio di Chiara Poggi avrebbe avuto la durata di 23 minuti.

Tizzoni è ancora più preciso, indicando la forbice temporale – che prima andava dalle 9 alle 14.30 – tra le 9.12 e le 9.35, l’unica finestra di tempo in cui Stasi non ha un alibi comprovato.

Se all’inizio di questo articolo avevamo sostenuto che determinare esattamente l’ora di un qualunque delitto non è cosa banale e una precisione assoluta è pressoché impossibile, di fronte a una valutazione tanto millimetrica ci sorge il dubbio: dobbiamo ricrederci? È possibile stabilire con tanta precisione l’orario di un delitto? Ed è un caso che questa forbice oraria termini giusto nel minuto in cui Stasi risulta di fronte al suo computer?

L’integrazione di Ballardini, le ricostruzioni della dottoressa Muscio e dell’avvocato Tizzoni non sembrano incidere poi molto sull’esito del processo. Alberto Stasi, infatti, in questa fase viene assolto. Quello che veramente conta, però, è che da questo momento in avanti – sia mediaticamente, sia a livello di indagini successive – a contare non sarà la finestra oraria indicata dalle perizie del medico legale Ballardini, né la perizia disposta d’ufficio dal Gup (che sostanzialmente concordava con quella di Ballardini, indicando l’ora della morte “nel corso della mattinata”), ma l’orario di infinitesimale precisione indicato dall’avvocato della famiglia Poggi.

Non è pedanteria, ma alla fine di questo articolo è comprensibile avere in testa un po’ di confusione. Schematizzando, dunque, ripercorriamo le fasi cruciali di questo incredibile slittamento nell’orario della morte di Chiara Poggi.

1) Sospettato di essere l’assassino, Stasi sostiene di aver passato la mattinata a lavorare alla sua tesi. Il suo alibi non è confermato dai Ris, che non trovano i file temporanei sul suo pc. Ritenendo la procura che l’omicidio si sia svolto verso le 11/11.30, Stasi avrebbe avuto tutto il tempo per uccidere Chiara, nascondere l’arma del delitto e pulirsi. È principalmente la certezza che abbia mentito sull’alibi che lo porta a processo.

2) I periti incaricati dal Gup trovano i file temporanei che il Ris non aveva visto. L’alibi di Stasi è confermato: il ragazzo quella mattina ha lavorato alla sua tesi.

3) L’unica soluzione per dimostrare la colpevolezza di Stasi sarebbe quella di collocare l’omicidio in due fasce orarie precise: la prima (9.12 – 9.35) va dal momento in cui Chiara disattiva l’allarme di casa a quando Alberto accende il suo pc; la seconda (dopo le 12.20) è quando Alberto smette di lavorare alla tesi. Per una serie di ragioni che non staremo qui ad elencare, la seconda ipotesi viene scartata.

4) Da questo momento in poi, si sposa la prima ipotesi: Alberto Stasi ha ucciso Chiara Poggi in un arco di tempo che va dalle 9.12 alle 9.35.

Il resto è storia. Giustizia è fatta, il mostro è in carcere. O forse no?

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