Dolce e Gabbana in Sicilia, tra "blasfemie" e "giallo" ex voto

Dolce e Gabbana "prendono le cose sacre per esaltare quelle profane", accusano i cattolici. Intanto scompare un gioiello donato alla Madonna di Palma di Montechiaro

Dolce e Gabbana in Sicilia, tra "blasfemie" e "giallo" ex voto

Dolce e Gabbana, la casa d’alta moda voluta dagli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, in occasione delle ultime sfilate nell’agrigentino è stata oggetto di accuse di blasfemia, richieste di risarcimenti per una celebrazione nuziale saltata e di un misterioso giallo legato ad una collana ex voto. Ma andiamo con ordine...

I due stilisti, noti in tutto il mondo, hanno voluto organizzare presso la splendida Valle dei Templi di Agrigento la loro sfilata d’Alta Moda e presso le cittadine di Palma di Montechiaro e Sciacca la loro sfilata di alta gioielleria e alta sartoria.

Intervenendo sul quotidiano locale La Sicilia i due stilisti hanno spiegato di avere scelto la Sicilia perché "rappresenta l’inizio di tutto, una fonte di ispirazione immensa a cui torniamo costantemente e da cui partono molti dei nostri progetti. Le sue tradizioni, i colori, la passionalità delle persone, i paesaggi e gli scorci meravigliosi, così come la sua storia… non smetteremo mai di raccontare tutto questo attraverso le nostre creazioni".

Ma le loro ultime creazioni hanno scatenato le ire di alcuni cattolici conservatori che, sui social, non hanno gradito l’accostamento tra il profano (gli abiti) e il sacro (le immagini care alla fede cattolica). Come scrive il portale La Fede Quotidiana, non è stato apprezzato l’utilizzo che i due stilisti hanno fatto dei sagrati delle chiese di Palma di Montechiaro e Sciacca e le immagini sacre usate per i vestiti. In particolare hanno impresso su dei vestiti femminili l’immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso, tanto cara ai fedeli di Sciacca, ed una celebre immagine del Cristo, conservata in Sicilia ma nota in tutto il mondo.

Sui social il commento più soft contro Dolce e Gabbana è stato "si prendono le cose sacre per esaltare quelle profane! I figli delle tenebre sono più astuti dei figli della luce!". O, come ha dichiarato un sacerdote che ha citato Apocalisse 11,1-2, la parte esterna del tempio di Dio "è stato dato in balìa dei pagani, i quali calpesteranno la città santa".

Una coppia, invece, ha deciso di rivolgersi al Tribunale saccense citando in giudizio il Comune di Sciacca, l’Arcidiocesi agrigentina guidata dal Cardinale Francesco Montenegro e la società organizzatrice dell’evento, la Feelrouge, perchè si sono visti rifiutare, causa sfilata, la Basilica della Madonna del Soccorso, Chiesa che avevano scelto per il loro matrimonio ben due anni fa, scegliendo come data il 6 luglio.

Un ultimo, misterioso fatto, riguarda quanto è accaduto in merito ad un gioiello donato ex voto. Come ha scritto il quotidiano Leggo, poi ripreso da altre testate, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, in segno di devozione mariana, hanno donato, "durante un incontro privato nella cappella del monastero delle benedettine", una loro preziosa creazione nel campo della gioielleria alla Madonna di Palma di Montechiaro, custodita in un antico convento di clausura.

Ma le stesse monache hanno denunciato che, nella notte tra il 5 e 6 luglio, un delegato dell’Arcivescovo di Agrigento, il Cardinale Francesco Montenegro, avrebbe chiesto alle monache di consegnargli la collana per "motivi di sicurezza".

Salvatore Malluzzo, un consigliere comunale di Palma di Montechiaro, ha parlato di "un atto di una gravità inaudita. La collana […] deve rimanere nella nostra Città e non in altri luoghi, senza se e senza ma. Non c’è giustificazione che tenga! Il nostro paese vive di tradizioni, di usi, di un forte devozionismo e di un’intensa fede.

L’atto di requisizione – da parte della curia arcivescovile di Agrigento – rappresenta una vera azione di forza, per non dire di offesa, nei confronti della nostra comunità".

Don Gaetano Montana, arciprete di Palma di Montechiaro, ha replicato spiegando che la custodia dei beni del monastero è un compito esclusivo dell'Arcivescovo, "che decide come e dove custodirne i beni".

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