Le due verità

C'è stato tutto un menar scandalo per le affermazioni dell'ex-sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ex-ministro in diversi dicasteri, ex-premier ed ex Presidente della Corte Costituzionale

Le due verità
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C'è stato tutto un menar scandalo per le affermazioni dell'ex-sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ex-ministro in diversi dicasteri, ex-premier ed ex Presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato che, a 43 anni dal caso Ustica, ha rivelato che la responsabilità dell'esplosione in volo del Dc9 Itavia fu di un missile francese che doveva colpire un aereo su cui si supponeva viaggiasse il colonnello Gheddafi. Non ha portato nessuna prova, ma già solo il fatto che un personaggio del genere, che ha ricoperto da solo più incarichi di tutti i componenti del governo Meloni messi insieme, si sia sbilanciato pubblicamente a tal punto non è un fatto da sottovalutare. Amato, infatti, è stato diretto, non ha usato se, né si è lasciato aperta la strada del dubbio per una possibile ritirata. E, a parte la fragorosa menata su Craxi che - secondo il Dottor Sottile degli anni '80-'90 - avrebbe avvertito Gheddafi in quell'occasione per salvarlo dall'agguato (fa a pugni con le date e con il ruolo del leader socialista in quel momento), il personaggio riporta una serie di congetture che, nei corridoi del Palazzo, andavano per la maggiore (ne sono testimone e ne ho scritto) e di cui il caposcuola era Francesco Cossiga. L'ex Capo dello Stato, che all'epoca dei fatti guidava il governo, era assolutamente convinto della responsabilità degli apparati militari francesi al punto che per lui quella vicenda era diventata un'ossessione.

Ora, nel dibattito suscitato dalle parole di Amato, molti hanno tirato in ballo le diverse sentenze emesse dall'autorità giudiziaria, spesso contraddittorie, che non hanno gettato una luce definitiva sulla strage. Tante verità, per non avere nessuna verità. O, meglio, una verità processuale contraddittoria, mentre si va definendo - si spera - una verità storica. E non bisogna meravigliarsene, perché spesso in queste vicende, che sono il palcoscenico di diversi protagonismi (servizi segreti, apparati militari, interessi interni e internazionali, ragioni politiche contingenti), la verità processuale resta monca. Anzi, in alcuni casi non è neppure una verità. L'uscita di Amato non dovrebbe destare scandalo perché, anche se - come sospetta qualcuno - quella sortita nascondesse altri fini, il tempo, che è galantuomo, lo dimostrerà: si possono ingannare i tribunali, non la Storia. Semmai il punto è un altro: il giudizio storico e il dubbio sulla verità processuale non dovrebbero essere considerati leciti solo in determinate occasioni; l'idea che possa esserci una verità processuale, magari condizionata dal mainstream del momento, e un'eventuale verità storica diversa, se non addirittura opposta, non può essere determinata da posizioni ideologiche o da interessi di comodo. Se Amato dice la sua sulla tragica vicenda di Ustica, può esserci anche chi non è convinto, in buona fede, sulla verità processuale della strage di Bologna o di altre vicende che hanno segnato la vita del Paese.

Dubbi che vanno rispettati, perché gli eretici in democrazia non dovrebbero essere destinati al rogo. E perché il rischio maggiore sarebbe scoprire fra altri vent'anni che ci siamo tutti piegati ad una verità di Stato o, nel caso, di Stati.

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