Elly "salvata" dai moderati

Il risultato di Elly Schlein nelle elezioni europee è stato un indubbio successo corroborato anche dalla vittoria in diversi comuni capoluoghi, un successo che però tradisce un paradosso

Elly "salvata" dai moderati
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Il risultato di Elly Schlein nelle elezioni europee è stato un indubbio successo corroborato anche dalla vittoria in diversi comuni capoluoghi, un successo che però tradisce un paradosso: dall'esame del voto e delle preferenze ottenute dai diversi candidati, si scopre, infatti, che buona parte dei risultati positivi la segretaria del Pd la deve a quell'area riformista che nel partito spesso si è trovata su posizioni diverse. Spesso in polemica con lei. La parte dei leoni nella ricerca del consenso l'hanno fatta soprattutto gli amministratori locali, quelli impegnati nel governo dei territori e che sono la spina dorsale di quest'anima del partito. I vari Stefano Bonaccini, Giorgio Gori, Dario Nardella, Matteo Ricci per non parlare di Antonio Decaro che ha vinto la maglia rosa delle preferenze nel Pd (ha preso il doppio delle preferenze della segretaria) e che in passato, quando la poltrona della Schlein è stata in bilico, era indicato come uno dei suoi possibili successori. Quell'anima a cui appartiene anche il governatore campano Vincenzo De Luca che spesso con la segretaria ha ingaggiato un duello rusticano.

Ora non si tratta di una contraddizione perché in fondo il merito principale dell'attuale segretario - ricordato in queste ore più volte in prima persona - è stato proprio quello di presentare delle candidature plurali che rappresentassero l'intero partito. Cosa che spesso in passato non aveva fatto. E l'andamento del voto dimostra che è proprio quest'anima di amministratori locali il vero nerbo del Pd. Basta paragonare Decaro, infatti, a quella trovata sull'altare del movimentismo che risponde all'ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, il quale grazie ad una campagna elettorale tutta in chiave anti-Nato, quasi in stile grillino, si è conquistato il posto di fanalino di coda tra i nomi del Pd.

Tutto ciò dimostra che rispetto agli esordi la Schlein ha avuto una sorta di metamorfosi: se prima la sua identità era caratterizzata dalla battaglia sui diritti, ora si occupa soprattutto di temi sociali, come il lavoro e la sanità. Il «sogno» è rimasto soprattutto nel lessico della leader del Pd, che continua ad essere incomprensibile, ma la proposta è più concreta, più pragmatica. E tende a sposare quei temi di governo che contraddistinguono l'anima riformista. Per usare una circonlocuzione provocatoria: la nuova Schlein vince malgrado la vecchia Schlein.

E probabilmente questa metamorfosi e il risultato conseguito in queste elezioni rendono più praticabile l'ipotesi di uno schieramento alternativo al centrodestra, il cosiddetto «campo largo» da mesi croce e delizia dei dibattiti a sinistra. Di fronte ad una polarizzazione dello scenario politico e doppiando i grillini nel voto europeo, infatti, è venuto meno il dualismo e la competizione per la leadership con Giuseppe Conte. Sono i numeri che hanno risolto la diatriba. Come pure l'atteggiamento «più pragmatico» della nuova Schlein rende più probabile un'intesa tra mondi diversi che sarebbe impossibile se il rapporto fosse condizionato dalle pseudo-ideologie che li contraddistinguono. Infine i numeri delle Europee favoriscono la nascita di uno schieramento che abbia la stessa fisionomia di quelli che hanno portato qualche volta la sinistra a vincere nel bipolarismo italiano: cioè un partito più grande che diventa il perno di una serie di alleanze. Un po' lo schema dell'Ulivo e dell'Unione che Romano Prodi predica da mesi. In fondo la sopravvivenza dei 5 stelle sotto il dieci per cento e dei centristi che non superano in entrambe le versioni la soglia del 4%, sarà legata in futuro proprio all'alleanza con il partito maggiore dell'ipotetica coalizione.

Una condizione che la segretaria deve avere il coraggio e la caparbietà di far pesare facendo venire meno la logica dei «veti» e delle esclusioni che finora ha reso l'ipotesi di uno schieramento alternativo al centrodestra pressoché una chimera. Anche perché sarà anche vero come ripete la Schlein che l'attuale maggioranza di governo non raggiunge il 51% sul piano dei voti, ma rispetto alle ultime elezioni politiche il centrodestra è passato dal 43,8% a sfiorare il 48% nelle Europee. Il che significa che per avere qualche chance di vittoria - e torniamo al verbo di Prodi - la segretaria del Pd deve mettere insieme tutto, ma proprio tutto, quello che rimane fuori.

Per cui subire la logica «ad excludendum» di Conte verso i centristi sarebbe per il Pd un atto di masochismo. E ancor peggio accettare i «veti» di Calenda: Carletto, con tutta la simpatia, in queste elezioni europee ha dimostrato di aver litigato con la politica da piccolo.

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