L'Europa è un'incompiuta e lo resterà a lungo. Qualcuno potrebbe dire che è un viaggio, da vivere con un certo disincanto, senza aspettarsi troppo, ma cercando di andare avanti un pezzo alla volta. È il senso di quello che è accaduto ieri a Bruxelles, quando i capi di governo si sono ritrovati per dare una risposta alle grandi migrazioni. Chi si aspettava una risposta netta è rimasto deluso, ma peccava di ottimismo. Non ci può essere l'unanimità su un fenomeno come questo. Ci sarà sempre qualcuno che pensa agli affari suoi, per visione del mondo o perché c'è un'elezione nazionale alle porte.
La realtà è che ogni governo non sa come gestire l'arrivo senza regole di immigrati. Non c'è una ricetta facile. Non si può chiudere l'Europa dentro una bolla immaginaria. Non ci sono frontiere che non possano essere varcate. Il mare e la terra chiedono poi un prezzo di sangue sempre più alto. I governi europei stanno cercando un accordo per dividersi costi e responsabilità e per convincere tutti ad accogliere una quota di migranti: un patto sull'immigrazione. È finita che in 25 hanno detto sì e due si sono opposti. Polonia e Ungheria non vogliono sentir parlare di accoglienza obbligatoria. Niente quote. Non ne fanno una questione di soldi, ma di principio o di propaganda.
Giorgia Meloni, con l'olandese Mark Rutte, in questa storia ha svolto fino all'ultimo un ruolo di mediazione. Non è riuscita a ottenere tutto, ma ha fatto il possibile. Il patto c'è. È un primo passo per definire la politica europea sull'immigrazione. È un punto di partenza e al momento bisogna accontentarsi. La premier ha ripetuto più volte questo concetto. Non aspettatevi che tutto sia semplice. Le scelte non cadono dall'alto. Non c'è, su qualsiasi questione, una tavola della legge che scende dall'alto e ti indica la strada. Non c'è una soluzione buona per tutti. È un progetto di 27 nazioni con storie, dimensioni, economie e geografie non solo differenti, ma spesso con interessi disallineati o in contrasto. L'Europa non è una federazione e neppure una confederazione. È una prospettiva. È un'unione economica che cerca un approdo più in là. È una comunità di popoli che prova a riconoscersi. È un'ambizione.
Sentirsi europei non è affatto scontato, non lo è mai stato. È faticoso. Meloni sembra consapevole di tutto questo e la rende una «europeista» atipica. Non indossa con leggerezza la bandiera blu con le stelle in cerchio. Non considera Bruxelles casa sua. Non finge come Macron di essere cittadina del mondo. A modo suo però all'Europa ci crede, da italiana, come una speranza, come un punto di arrivo.
Giorgia Meloni si sta mostrando anche diversa da Morawiecki e Orbán, perché più ambiziosa di loro, perché vede per l'Italia un ruolo diverso, perché non rinuncia al buonsenso, perché in fondo non si è mai sentita come la raccontano. E vuole provare a sorprendere.
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