"Ho mangiato le mie vittime". La storia del serial killer con l'impermeabile giallo

Yoo Young-Chul, l'assassino seriale di Seoul, uccise almeno 20 persone tra il 2003 e il 2004. Condannato alla pena di morte, attende da 17 anni l'esecuzione. Su Netflix la storia del "killer dell'impermeabile giallo"

"Ho mangiato le mie vittime". La storia del serial killer con l'impermeabile giallo

Aveva progettato di "uccidere 100 persone" e forse ci sarebbe riuscito, se la polizia di Seoul non gli avesse messo le manette ai polsi frenando la sua furia omicida. Venti furono le vittime accertate e per le quali Yoo Young-Chul, 35enne coreano, fu condannato alla pena di morte il 13 dicembre del 2004.

Nel 200, la rivista americana Life lo ha inserito tra i 31 serial killer più prolifici della storia (l'unico di origini asiatiche), secondo solo a Richard Ramirez (night stalker) e Jeffrey Dhamer (il cannibale di Minwaukee). La sua storia ha ispirato la trama di numerose pellicole cinematografiche tra cui "The Chaser" (2008), film del regista sudcoreano Na Hong-jin. Nell'ottobre del 2021 è sbarcata tu Netflix la docu-serie "Caccia al killer dell'impermeabile giallo" diretta da Joihn Choi e Rob Sixsmith, che racconta in tre episodi l'ascesa criminale di Yoo Young-Chul fino alla cattura.

L'infanzia e l'adolescenza a Seoul

Yoo Young-Chul nasce a Gochang, nella provincia sudcoreana di Jeolla, a circa 200 chilometri da Seoul, il 18 aprile del 1971. Figlio di una coppia di modesta estrazione sociale vive un'infanzia piuttosto turbolenta. I suoi genitori decidono di separarsi quando è ancora molto piccolo, affidandone le cure alla nonna materna. A sei anni va a vivere a Seoul col padre, reduce della guerra in Vietnam e gestore di un negozio di fumetti, che intanto si è risposato. In quella circostanza si ricongiunge ai suoi fratelli ma i rapporti con la matrigna, una donna dalle maniere forti, sono tutt'altro che idilliaci. A 8 anni decide di scappare insieme alla sorella minore per poi trasferirsi dalla madre che abita nel quartiere Mapo di Seoul, al tempo, tra i più poveri e malfamati della capitale sudcoreana.

Yoo Young-Chul

La casa in cui vivono è fatiscente: mancano l'acqua e la corrente elettrica. Nonostante le condizioni economiche disagiate, Yoo si impegna in modo profuso negli studi mostrando una spiccata inclinazione per le materie umanistiche. Ma a scuola, specie durante l'adolescenza, viene ripetutamente schernito dai compagni di classe per la sua povertà. Ha pochi vesti e per pranzo consuma quasi sempre una ciotola di riso con fagioli. Prova a reagire coltivando la passione per il canto e la pittura ma non può permettersi il liceo d'arte così, al termine delle medie, ripiega su un istituto tecnico. Tiene duro ma dentro di sé cova un sentimento di profondo disprezzo per quella società che sembra averlo condannato a una vita di stenti. Cresce, si fa uomo. Finché un giorno si scopre criminale.

I primi passi nel mondo del crimine

Non è ancora maggiorenne quando, nel 1988, Yoo mette a segno il suo primo colpo: trafuga dall'appartamento di un anziano benestante una chitarra e un mangianastri. Viene beccato con la refurtiva e finisce in un centro di detenzione minorile. Trascorrono 3 anni di inattività quando, nel 1991, riprende coi furti: ruba una macchina fotografica e del denaro contante da un ufficio. Anche stavolta, non riesce a farla franca e incassa una pena a 10 mesi di reclusione.

Una volta fuori dal carcere, in quello stesso anno, Yoo conosce la sua futura moglie: Ms. Hwang, una massaggiatrice di Seoul. I due convolano a nozze il 23 giugno del 1993 dando alla luce, l'anno successivo, il loro unico figlio. Ma le gioie coniugali e la paternità non distolgono Young-Chul dal desiderio di vendicare la propria condizione di emarginato sociale. Senza contare che ha necessità di sfamare la sua famiglia, vivono di stenti. Nel 1995 viene arrestato per detenzione di materiale pedopornografico mentre, nel 1998, finisce in carcere per aver falsificato il documento di identità spacciandosi per un ufficiale di polizia. Dopo due anni trascorsi in galera ritorna a piede libero. Comincia la discesa agli inferi.

Lo stupro e il periodo di detenzione

A marzo del 2000 Yoo Young-Chul viene arrestato per aver stuprato una ragazza di 15 anni. Sua moglie, che fino a quel momento gli era stata accanto nonostante i trascorsi turbolenti, chiede e ottiene il divorzio. Per il reato commesso, Yoo viene condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione presso il centro di detenzione di Jeonju. Durante il periodo di detenzione, il 35enne trascorre il tempo a studiare la vita di Jeong Du-young, un serial killer coreano che tra il giugno del 1999 e l'aprile del 2000 uccise 9 persone. Intanto il desiderio di rivalsa sulla società si inasprisce tramutando in furia omicida. Quando esce dal carcere, nel settembre del 2003, Yoo è profondamente cambiato. Ora ha in mente un vero e proprio piano criminale: uccidere 100 persone.

L'ascesa criminale

È il 24 settembre del 2003 quando Yoo Joung Chul, tornato in libertà da soli 10 giorni, commette il suo primo omicidio. Nel piccolo monolocale in affitto alla periferia di Seoul, dove vive dopo la scarcerazione, fabbrica l'arma del delitto: un martello di circa 4 chili. Il 34enne è assetato di vendetta, un sentimento che intende assecondare passando sul cadavere di perfetti sconosciuti. Nel mirino finiscono anziani e famiglie facoltose su cui riversa tutto il rancore maturato durante il lungo periodo in cella. I primi a farne le spese, sono una coppia di coniugi 70enni, sorpresi nel loro appartamento di Gangnam-gu verso l'ora di pranzo: è quello il momento preferito dal killer sudcoreano per attaccare. I due vengono colpiti alla testa col martello e poi lasciati esanime in una pozza di sangue. Una settimana dopo, tra il 2 e il 16 ottobre, Yoo aggredisce mortalmente altre quattro persone. Tra il 4 e il 18 novembre miete due nuove vittime: fa irruzione in un appartamento di Jongro-gu (quartiere in vista di Seoul) uccidendo a martellate una donna di 57 anni e un anziano di 87 poi, brucia i cadaveri. In casa con loro c'è anche un bambino che però risparmia dalla mattanza.

La mutilazione dei corpi

Trascorrono due mesi dall'ultimo omicidio quando, nel dicembre del 2003, Yoo riprende la sua attività criminale. Stavolta si accanisce con massaggiatrici e giovani donne che sottopone a crudeli atrocità. II 34enne ha un nuovo modus operandi: attira la vittima nel suo appartamento e, a seguito di un rapporto sessuale, le fracassa la testa col martello. Il cadavere viene poi mutilato, fatto a pezzi (in 16/18 parti secondo quanto racconta il documentario Netflix) e i resti gettati in prossimità del tempio di Bongow, a Seodaemun-gu. È lì che la polizia ritrova alcuni dei corpi smembrati delle 12 donne uccise da Yoo fino al luglio del 2004, quando viene stanato. Reo confesso dei pluriomicidi dichiarerà: "Le donne non dovrebbero tr... e i ricchi dovrebbero sapere quello che hanno fatto".

Le indagini e la cattura

Nonostante la lunga scia di omicidi, il killer riesce a farla franca per circa un anno: non lascia tracce sulla scena del crimine né sui cadaveri. La scelta di colpire giovani donne o escort, inoltre, gioca a suo favore dal momento che nessuno ne denuncia la scomparsa. La svolta nelle indagini giunge per merito del proprietario di un centro massaggi alla periferia di Seoul. L'uomo ha notato che alcune dipendenti sono sparite dopo aver incontrato un presunto cliente, ovvero proprio Young-Chul, e così decide di allertare le autorità. D'accordo con gli investigatori, concorda al telefono un appuntamento con lo sconosciuto. Quando Yoo giunge sul luogo fissato per l'incontro, si ritrova al cospetto di un agente di polizia che gli mette le manette ai polsi. Tuttavia durante l'interrogatorio riesce a dileguarsi - pare abbia millantato un attacco epilettico. La fuga però dura solo 12 ore: lo spietato assassino seriale viene stanato dalla polizia vicino al Grand-mart di Mapo-gu all'alba del 15 luglio 2004.

La condanna a morte

A soli 35 anni, Yoo Young-Chul ha lasciato dietro di sé una lunga scia di sangue: 20 sono le vittime accertate e per le quali, il 13 dicembre del 2004, fu condannato a morte dai magistrati della Seoul Central District. Durante il processo confessò che avrebbe continuato a uccidere se non lo avessero fermato. "Ho mangiato alcune parti delle mie vittime per purificarmi", raccontò ai magistrati. Ma del presunto cannibalismo di Yoo non c'è mai stata prova certa.

Gli psichiatri e criminologi che, nel corso degli anni, lo hanno visitato in carcere ritengono sia perfettamente in grado di discernere il bene dal male nonostante la grave condotta antisociale. "Yoo, che ha ucciso 20 persone senza un motivo specifico, è il tipico serial killer che ha rinunciato a vivere in società con gli altri", spiegò il procuratore distrettuale quando formulò la richiesta della pena capitale per l'imputato.

La vicenda processuale dell'assassino di Seoul ha riacceso le polemiche sull'applicazione della pena di morte in considerazione della possibilità di sostituirla con un ergastolo non commutabile.

Il dibattito tiene banco da circa un ventennio, lo stesso tempo in cui "il killer dell'impermeabile giallo" attende di conoscere il proprio destino. "Sarei ingiusto nei confronti del mondo se le persone con me continuassero a vivere – dichiarò Yoo nel lontano 2006 – Mi oppongo all'abolizione della pena di morte".

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