I tempi della guerra

L'unico che sta fermo, che continua a confondere i tempi di guerra con quelli di pace, è il nostro governo

I tempi della guerra

In guerra il tempo è una variabile fondamentale. Putin è nei guai perché la tempistica dell'invasione in Ucraina ha accumulato ritardi su ritardi. Per Zelensky, invece, è essenziale prendere tempo per negoziare. Fin qui la guerra sul campo. Pure nella guerra economica, quella che abbiamo ingaggiato noi insieme alla Ue e agli Stati Uniti nei confronti della Russia di Putin, i tempi sono molto, se non tutto. Per cui se devi difendere i cittadini dal caro carburante che ha visto il prezzo della benzina aumentare di 10 centesimi al giorno nell'ultima settimana, non puoi menare il can per l'aia. Gli altri Paesi non hanno perso tempo: la Francia lo ha ridotto di 20 centesimi tre giorni fa, la Germania stessa cosa ieri, l'Irlanda ha diminuito il peso delle accise da una settimana e il premier spagnolo, Pedro Sanchez, ha posto il problema di un «tetto» sul costo del carburante (ma anche dell'energia elettrica, ecc.) da fissare addirittura in sede europea.

L'unico che sta fermo, che continua a confondere i tempi di guerra con quelli di pace, è il nostro governo. Addirittura da noi un ministro parla di truffe nell'aumento della benzina, interviene la magistratura, ma di provvedimenti non c'è neppure l'ombra. E in Italia le imposte pesano sul prezzo finale della benzina per oltre il 50% e, dato da non dimenticare, l'85% del trasporto merci interno viaggia su gomma, ergo con questi costi l'inflazione galoppa. È accettabile questa lentezza? Francamente no.

Ecco perché il Paese ha bisogno di risposte oggi. Anzi, dovremmo dire ieri. Non puoi coinvolgere i cittadini in un braccio di ferro, sia pure sacrosanto, e non salvaguardarli, per quel che si può e per quel che si deve, dalle conseguenze della guerra. Si sapeva che le sanzioni avrebbero avuto un effetto boomerang sul nostro Paese, ma proprio per questo quell'effetto va gestito, attutito. L'unica cosa che non è assolutamente accettabile è l'inerzia camuffata dalla retorica del momento.

Anche perché senza una risposta rischiamo di spararci sui piedi con le stesse armi con cui abbiamo tentato di fermare Putin. Se l'esecutivo Draghi non si muove, infatti, rischia di determinare in Italia lo stesso effetto che l'Occidente ha tentato di provocare in Russia con le sanzioni: Stati Uniti e Unione Europea con quelle misure hanno puntato a rendere impopolare a Mosca la guerra; ma se non siamo capaci di gestire le conseguenze negative di ritorno delle sanzioni, si rischia di innescare un processo di disaffezione di una parte consistente dell'opinione pubblica italiana alla causa dell'Ucraina. Andrebbe in scena, insomma, un paradosso tragico.

Delle due l'una, quindi: o si muove il governo, o deve muoversi l'Europa. Magari fissando un'aliquota massima di accisa sul prezzo della benzina per ogni Stato. O compensando i Paesi più colpiti dalla mancata importazione di petrolio russo.

Per elencare le proposte che ieri Silvio Berlusconi ha avanzato a Bruxelles. Ma ce ne possono essere anche altre. L'unica cosa da evitare è, al solito, parlare, magari molto, senza decidere. È la strada più facile per perdere la guerra qui e a Kiev.

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