Il virus se ne frega dei tuoi progetti. Non rispetta nomine, ruoli e lavori da fare. Colpisce, qualche volta quasi con dispetto, per fare saltare i piani, per scardinare le difese e metterti ancora di più in ginocchio. Come a sbeffeggiarti.
Guido Bertolaso si è ammalato. Nulla di grave. Una linea di febbre e nessun altro sintomo. Solo che il virus è nel suo corpo e fa il suo sporco mestiere. È una lotta tra questi pirati con corona d'abbordaggio e gli anticorpi. Si combatterà cellula per cellula, come stanno facendo in tanti, troppi. Bertolaso è stato scelto per guidare la resistenza in Lombardia. È un professionista. È quello che fa da una vita: superare le emergenze. Cercare di dare una risposta al caos. Non è più il capo della Protezione civile. Attilio Fontana si è affidato comunque a lui. È una scelta politica che si basa su un principio legittimo: la fiducia. Qualcuno si è adombrato, qualcun altro ha bofonchiato e c'è chi ha scommesso sul fallimento, sperandoci.
La cronaca racconta che quest'uomo di settant'anni si è messo a disposizione, senza chiedere nulla. È tornato dal Sud Africa, dove era andato per trovare sua figlia, pediatra. L'Africa in questi anni è stato il suo ritiro e la sua missione. Arrivato a Milano ha cercato di tranquillizzare tutti: «Sono un tecnico super partes, lavorerò per il mio Paese e tra qualche mese, quando tutto sarà finito, sparisco di nuovo». Era nove giorni fa. Da allora si è messo a lavorare. C'è un ospedale da tirare su dal nulla in Fiera. Servono posti letto, di terapia intensiva, da allestire in fretta. Ci sono da cercare i respiratori, altrimenti è tutto inutile. Bertolaso non è rimasto chiuso in ufficio. Non poteva. È stato in mezzo agli altri, con il suo stile e i suoi metodi. Ci ha messo il corpo e la faccia. È stato contagiato, perché questo virus te lo prendi in fretta.
C'è un altro virus che però gira senza sosta. È quello di chi odia e non la smette mai.
È chi ride e brinda sulle disgrazie altrui. Per livore, perché non conosce la pietà, per politica, per partito preso, perché non sa fare altro o per sentirsi vivo. È contro questo virus che scriviamo forte: viva Bertolaso.
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