Lo spettro dell'Armageddon Ue

Leader da Zelensky in ordine sparso: manca una linea

Lo spettro dell'Armageddon Ue

Il tempo della disillusione. L'Ucraina svela l'Europa, la mette a nudo, mostrando incertezze e strabismi, ricordando a tutti che il suo corpo è una ragnatela di confini, di solchi che la Storia ha segnato e la politica di questi anni, al di là delle carte e delle parole, non ha mai avuto davvero la voglia di cancellare. La guerra in Ucraina ti dice quello che l'Europa non è. Non c'è un volto in cui riconoscersi. Si va sempre e comunque in ordine sparso, come improvvisati avventori di un Roxy bar, ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi. Li vedi alcuni fare tappa a Kiev, come testimonianza, come atto di solidarietà, con il giubbotto antiproiettile d'ordinanza, a rappresentare un frammento di Europa. L'ultimo, ieri, è stato il presidente polacco Andrzej Duda, e prima di lui il premier sloveno Janez Jana, il ceco Petr Fiala, l'austriaco Karl Nehammer, che poi è passato anche a Mosca, e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, il capo di quel governo europeo che fa quel che può. A breve dovrebbe partire anche Emmanuel Macron. Il problema è che dietro la passerella manca una linea comune.

La Germania in questa storia avrebbe dovuto essere un punto di riferimento e invece un po' alla volta si sta rincantucciando. I costi sono troppo alti. Non c'è tanta fretta di dare altre armi a Kiev. L'idea per aprire le porte della Ue all'Ucraina non convince Berlino. È meglio tenerla ben lontana dalle frontiere. La Germania potrebbe, certo con fatica, rinunciare al gas russo, ma questo significa riattivare le centrali nucleari, troppo per un governo che ha in maggioranza i Verdi. La ricerca di nuovo gas poi sta dividendo parecchio, perfino nel Mediterraneo. La Spagna sta guardando la missione dell'Italia in Algeria, con cui i rapporti di Madrid sono tutt'altro che buoni. La Francia di Macron, da parte sua, sembrava pronta a giocare un ruolo da protagonista, ma in piena campagna per le elezioni presidenziali ogni parola pesa e allora il genocidio viene nascosto al fianco del nome di Putin, con il sospetto che sia più paura che prudenza. Il «braccino corto» di Parigi e Berlino non soltanto delude Kiev, ma preoccupa chi, come la Polonia e i Paesi baltici, la minaccia di Mosca la sente più vicina e spinge per accelerare la difesa comune europea, con un impegno militare diverso anche nella stessa Nato. È che l'Europa non può che essere questa e forse i limiti sono strutturali. È quello che scrive nel suo ultimo libro Carlo Panella, con un titolo provocatorio: Elogio del sovranismo (Piemme). «L'europeismo è rispettabile e nobile, ma si è rivelato impraticabile». È una considerazione che fa male, ma che rischia di diventare reale se non accadono miracoli. Troppe occasioni perse. L'Europa è morta sull'immigrazione, sulle politiche di welfare, sulla pandemia, sull'energia e sulla guerra.

È morta perché non ha mai davvero voluto un'anima, ma ha scommesso sulla

burocrazia e sulla moneta. È stata un'utopia. Abbiamo sognato una federazione impossibile, dovremmo accontentarci di sperare un giorno in una confederazione blanda. Non saremo mai gli Stati Uniti d'Europa. Non sotto questo cielo.

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