L'ultimo miglio di una corsa è sempre il più insidioso e questo vale per Mario Draghi che, superato ieri lo scoglio del referendum grillino, ora deve mettere nero su bianco i nomi dei ministri e il contenuto del suo programma. Mi dicono che a Roma si vivano momenti di tensione, perché a poche ore dall'insediamento di un nuovo governo, dal presidente incaricato per la prima volta non è trapelata la benché minima indiscrezione sulla composizione della squadra di governo. Si inseguono voci frutto per lo più di autocandidature, ma nessuno ha ancora ricevuto la telefonata fatidica che lo sollecita a preparare il vestito buono per il giuramento.
Oggi probabilmente sapremo, ma non stiamo parlando solo di poltrone nel senso deteriore del termine. Dalla lista dei nomi e dalla attribuzione a ognuno di un incarico specifico dipenderà infatti il tasso di gradimento sostanziale - quello formale lo diamo per scontato - dei partiti al governo. In questo momento Draghi può permettersi tutto o quasi tutto, ma siamo pur sempre in una Repubblica parlamentare dove il peso dei partiti e l'equilibrio tra i partiti giocano comunque un ruolo determinante soprattutto se parliamo di una larga maggioranza fatta di sensibilità assai diverse tra loro.
Paradossalmente la soluzione più indigesta alla politica - un governo di soli tecnici - sarebbe anche la più gestibile dai partiti, perché sgombrerebbe il campo da invidie e gelosie tra di loro e rivolte interne degli esclusi. È possibile appaltare all'esterno, cioè solo a tecnici non eletti, la più grande manovra economica della storia della Repubblica quale è l'utilizzo dei 209 miliardi in arrivo dall'Europa? La domanda non ha risposte certe e, per certi versi, la politica meriterebbe di essere lasciata sulla porta per l'incapacità che ha dimostrato negli ultimi anni. Ma, per inverso, escludere totalmente i partiti dalle decisioni strategiche è cosa che ha poco a che fare con la democrazia al di là delle loro colpe. Noi tutti, lo abbiamo ripetuto più volte, ci fidiamo di Draghi, ma perché la cosa funzioni ci vuole che almeno una parte di questa fiducia sia ricambiata.
Diciamo, per capirci, che la soluzione migliore sarebbe quella di una «libertà vigilata», perché un eccesso di condanna non porta mai alla riabilitazione, semmai all'incattivimento e, alla prima occasione, alla reiterazione del reato. E di crisi di governo a tradimento in questa legislatura ne abbiamo già viste fin troppe.
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