La linea del Piave (e del buonsenso)

Su Kiev incombeva la minaccia della colonna russa che stava avanzando da nord nelle prime settimane di invasione. Nessuno faceva caso ad una ventina di piccoli nati sotto le bombe da madri surrogate.

La linea del Piave (e del buonsenso)
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Su Kiev incombeva la minaccia della colonna russa che stava avanzando da nord nelle prime settimane di invasione. Nessuno faceva caso ad una ventina di piccoli nati sotto le bombe da madri surrogate. In Ucraina non è reato ed i manager della clinica specializzata negli uteri in affitto scortavano, armi in pugno, i neonati venuti alla luce da poco in un bunker ben attrezzato. Le file di culle sottoterra erano il loro piccolo, grande tesoro. I genitori a pagamento da tutto il mondo, compresa l'Italia, avevano già versato lauti anticipi. Da una parte i piccoli urlanti facevano pena assieme a chi li aveva «comprati», dall'altra montava la rabbia per un mercimonio aggravato dalla guerra. Il neonato diventa un prodotto, in barba al destino ingrato che non permette a coppie eterosessuali di avere figli o per natura a coppie omosessuali. Personalmente sono convinto che un bambino abbia bisogno di una famiglia con una mamma e un papà di sesso diverso, ma nei cambiamenti della società che ci circonda non bisogna fare i talebani se c'è di mezzo l'amore per un figlio. L'importante è stabilire le linee del Piave. La prima è quella della maternità surrogata, che non può essere accettata come se fosse il supermercato dei bebè.

La distinzione fra maternità surrogata e inseminazione assistita o artificiale - fino alla più estrema fecondazione in vitro - è alla base delle ordinanze di ieri, dopo le mosse della Procura di Padova che ha impugnato gli atti di nascita dei figli di coppie con due mamme. A Milano il tribunale ha detto no all'atto di nascita di un bambino con due papà, nato all'estero attraverso la maternità surrogata. Al contrario, ha avallato le trascrizioni per tre coppie di donne che si erano affidate alla procreazione assistita. La magistratura ci ha abituato alla giustizia che parte ad orologeria, ma in realtà c'è poco di nuovo sotto il sole. La prima sentenza a favore di due mamme senza utero in affitto è del 2014 a Roma. Poi i tribunali sono andati in ordine sparso sulla cosiddetta stepchild adoption, che potrebbe essere, in parte, una soluzione.

Per il ministro della Famiglia e Pari Opportunità, Eugenia Roccella, «dovremo pensare a una sorta di sanatoria», che è come chiudere la stalla dopo la fuga dei buoi. Forse bisognerebbe partire proprio dalle adozioni per non condannare i bambini delle coppie gay a diventare figli di NN. E, a questo punto, mettere mano al sistema delle adozioni, abbandonato per anni con la sinistra al potere, anche e soprattutto per le coppie eterosessuali.

Il campo

delicato delle coppie gay è un terreno minato e spetta al governo e al Parlamento trovare la giusta via, senza estremismi arcobaleno né forzature talebane, ma pensando solo e unicamente al bene dei figli, il nostro futuro.

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