La famiglia Zaky è intimorita dal clamore suscitato dalla vicenda, ma confida nella stampa affinché la pressione internazionale possa essere utile per risolvere la situazione. È passata ormai una settimana dall'arresto di Patric George, studente di origini egiziane dell'Università di Bologna fermato lo scorso giovedì 6 febbraio all'aeroporto de Il Cairo in Egitto. Il giovane attivista per i diritti umani è accusato di istigazione a rovesciare il regime. I genitori hanno una semplice richiesta: "Non capiamo più niente: nostro figlio stava tornando a casa per festeggiare gli ottimi voti ottenuti e ci siamo ritrovati a portargli cibo e vestiti in prigione. Vogliamo soltanto che torni a casa".
Un compito importante sta svolgendo Wael Ghally, uno degli avvocati che sta seguendo il caso: "Non sappiamo perché Patrick è stato arrestato". In tutto ciò emergono solamente due certezze: la prima è che nei suoi confronti "è stato emesso un mandato di comparizione il 24 settembre ma nessuno glielo ha comunicato" e perciò "è stato fermato alla frontiera"; la seconda è che "è stato bendato e portato da qualche parte al Cairo". Il legale ha spiegato nello specifico i terribili momenti passati dal ragazzo, che sarebbe stato anche sottoposto all'elettrochoc: "È stato detenuto e interrogato per 30 ore, torturato. Lo picchiavano e gli chiedevano dei suoi legami con l'Italia e con la famiglia di Giulio Regeni. Patrick non sa nulla di tutto questo: così alla fine lo hanno trasferito qui a Mansura".
La vicenda di Regeni fa paura alla famiglia, tanto che lo zio - come riportato da La Repubblica - è intervenuto e ha affermato: "Patrick è egiziano: lasciamo questa storia e le ambasciate fuori o non ne verremo mai a capo". Solamente la sorella Marize è uscita allo scoperto per smentire eventuali rapporti tra il fratello e il ricercatore italiano: "Abbiamo saputo quello che è successo a Regeni attraverso i social media, come tutti qui in Egitto. A casa ne abbiamo parlato e Patrick si è fatto la stessa domanda di tutti noi: perché è successo? Nulla di più".
"Ci sono troppi problemi"
Il signor Zaky ha fatto sapere che il figlio è molto provato: "Non sta certo bene psicologicamente, ma tiene duro e aspetta di uscire". Ciò che realmente vuole è tornare a studiare in Italia, come ha confessato lui in prima persona: "Posso stare in prigione un anno intero e resistere. Quello che potrebbe uccidermi davvero è perdere la borsa di studio". L'avvocato Ghally si è limitato a denunciare una triste realtà: "Tutto quello che posso dire è che ho lavorato a molti casi, ma non ho mai avuto così tanti problemi: l'altro giorno ho impiegato sei ore a farmi firmare un documento".
La mamma intanto tra le lacrime sussurra e confessa di essere stata preoccupata quando Patrick - dopo essersi laureato in farmacia - aveva deciso di cambiare strada e di dedicarsi al mondo del sociale: "Mi aveva assicurato che voleva solo perseguire una carriera accademica...".
Al Vaticano hanno chiesto "solo preghiere" e hanno tenuto a ringraziare gli italiani "per l'empatia e la solidarietà". Ma anche la questione sui possibili canali di comunicazione aperti con l'ambasciata è molto delicata. "Non abbiamo avuto nessun contatto", la risposta secca del legale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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