Ancora una volta gli occhi del mondo sono puntati sulla Francia per l'ennesimo atto terroristico. Tre le vittime di Aouissaoui Brahim che, il 29 ottobre, al grido di “Allah Akbar”, ha sgozzato due persone ammazzandone una terza nella cattedrale Notre-Dame a Nizza. Un attentato terroristico che ha indignato l’opinione pubblica facendo sollevare polemiche sul modello di integrazione francese. Ma anche sui reali controlli che vengono effettuati in Italia su chi arriva.
Chi è Aouissaoui Brahim
Aouissaoui Brahim è un tunisino di 21 anni, arrivato a Lampedusa il 20 settembre scorso assieme ad altri migranti a bordo di uno dei tanti barchini che dalla Tunisia hanno seguito la rotta del Mediterraneo centrale. Una volta giunto sull’isola maggiore delle Pelagie, ha trascorso i 15 giorni previsti per la quarantena a bordo della nave Rhapsody, l'imbarcazione della compagnia di navigazione italiana "Grandi navi veloci" messa a disposizione dal governo per ospitare i migranti appena sbarcati in Italia. Finito il periodo previsto dal protocollo contro il coronavirus, il terrorista è stato portato in Puglia, a Bari, dove è stato identificato e fotosegnalato dalla questura. Il nome dell’attentatore risultava fra quelli inseriti nei terminali per “illecito ingresso nel territorio nazionale”. Ricevuto l’ordine di espulsione dal territorio italiano, con l’invito al rimpatrio, il tunisino è invece arrivato in modo clandestino in Francia.
Quei tunisini lasciati liberi con il foglio di via in tasca
Sul caso dell'attentatore di Nizza è intervenuta anche il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese: “Non c'è responsabilità da parte nostra – ha dichiarato – l'attentatore non era stato segnalato dalla Tunisia né risultava segnalato dall’intelligence”. Tuttavia sul controllo dei tunisini sbarcati negli ultimi mesi qualcosa è andato storto. Lo si è visto ad esempio il 21 settembre scorso. Dalla nave Rhapsody, la stessa che ha portato l'attentatore da Palermo a Bari, quella notte a Porto Empedocle, sono stati fatti scendere 750 migranti. Molti erano tunisini arrivati a Lampedusa pochi giorni prima. A 500 di loro è stato consegnato il foglio di via. In pratica gli è stato detto di lasciare autonomamente il territorio italiano. “È una certezza che questi 500 cittadini extracomunitari non daranno seguito al foglio di via”, aveva spiegato al Giornale.it il 2 ottobre Stefano Paoloni, segretario generale del Sindacato autonomo della Polizia di Stato.
E infatti dei tunisini in quell'occasione non si è saputo più nulla. Anzi, Porto Empedocle e Agrigento poco dopo lo sbarco hanno visto decine di migranti riversarsi lungo le proprie strade in cerca di mezzi per raggiungere altre località del nostro Paese. Forse è stata la fretta a pesare su questa modalità di gestione. Serviva, a Porto Empedocle così come a Bari, liberare quanto prima le navi usate per la quarantena per fare spazio ad altri migranti. In tal modo si sono create falle che se in un primo momento hanno determinato allarme sotto il profilo sanitario, successivamente alla luce degli episodi di Nizza hanno mostrato problemi anche per la sicurezza.
Quegli allarmi ignorati
Poteva essere fatto qualcosa per evitare che il tunisino sbarcato a Lampedusa colpisse in Francia? La domanda sorge spontanea, ma è molto difficile giungere a una risposta. Certo è che anche in ambienti investigativi è noto come molti di coloro che fanno perdere le tracce in Italia aspirano ad arrivare all'estero: “I migranti resteranno nel nostro Paese oppure viaggeranno per raggiungere altre destinazioni come a volte accade. Francia e Germania in particolare –ha sottolineato nell'intervista a IlGiornale.it Stefano Paoloni – È chiaro che molti di questi non hanno nessun tipo di risorsa e pertanto sono particolarmente esposti a comportamenti poco leciti”. Quasi una profezia quella del sindacalista della Polizia.
Ma già in passato allarmi relativi alla possibile infiltrazione di soggetti radicalizzati tramite gli sbarchi, soprattutto quelli autonomi, erano stati lanciati. Nell'estate del 2017, nel pieno di una delle stagioni caratterizzate dal record di approdi autonomi in Sicilia, a parlarne era stato il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio: “Tra chi arriva senza controllo – era il pensiero del magistrato – Potrebbero esserci anche persone legate al terrorismo internazionale. Per questo penso che siamo di fronte a un’immigrazione pericolosa”. Anche in questo caso si è dinnanzi a una tragica profezia, rimasta però per anni lettera morta.
Le polemiche sul sistema di integrazione francese
“L'attentato di Nizza, oltre alla sua drammatica e barbarica violenza da condannare a prescindere e con forza, - afferma su IlGiornale.it Marino D’amore docente dell’Università Niccolò Cusano- ancora una volta, ci rivela come si valorizzi la superficialità, la generalizzazione e il conflitto, anche verbale, nella sua interpretazione”. In poche parole, il problema non è legato solo alla sicurezza ma anche al modello di integrazione. Infatti il docente Marino D’Amore, punta il dito contro il modello francese: “Non è possibile-afferma- cercare di comprenderne l’origine dell’attentato nella sua estrema complessità, senza tener conto del sostanziale fallimento dell’integrazione assimilazionista francese, che favorisce l’esclusione, e il reclutamento terrorista, la collisione tra due mondi,uno profondamente laico (quello transalpino) e l'altro fanaticamente radicalizzato”.
Ad oggi, il vero problema è legato al controllo delle periferie francesi e non soltanto a quello dei migranti che arrivano dall’Italia:“La violenza è sempre e solo barbarie, ma relegare un evento così drammatico a una visione semplicistica, che ne individua le cause solo ed esclusivamente nell’immigrazione o nella
libertà di espressione, senza, ad esempio- conclude D’Amore- considerare il livore che si diffonde nelle periferie francesi tra chi non riesce a integrarsi, significa non comprendere la situazione e alimentare lo scontro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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