Come ha giustamente scritto il direttore di questa testata, le dimissioni del ministro Sangiuliano erano diventate inevitabili. La stessa linea difensiva adottata le ha rese tali, non le colpe in sé commesse, tutte francamente da provare. Di contratti firmati non se ne è vista traccia e i documenti top secret finora includono al massimo il menu del brunch e il colore del red carpet. Un po' poco per mettere a rischio conti pubblici e sicurezza nazionale.
È evidente tuttavia che se un ministro si presenta in prima serata, nel principale telegiornale pubblico del Paese, addirittura con uno speciale costruito apposta, per parlare di una situazione che dovrebbe riguardare solo lui stesso e i suoi familiari, trasforma automaticamente quella situazione in un caso politico. Da quel momento infatti sarà impossibile sostenere, anche per chi volesse difenderlo, che le vicende narrate non incidono affatto con la sua condotta da pubblico ufficiale e sulle politiche del suo dicastero.
Chi, come me, ha ormai qualche anno, ricorderà che il presidente Clinton non dedicò che qualche parola allo scandalo sessuale che lo travolse e che si chiamava Monica Lewinsky. E già quelle poche parole gli costarono care: sostenne di non aver avuto rapporti sessuali con la signorina in questione e venne processato per questo, per aver mentito agli americani. Neppure gli Stati Uniti, molto più puritani di noi, si sentirono di mettere sotto accusa un presidente per i suoi rapporti personali, bensì per aver detto in tv una mezza verità al Paese. Non per adulterio, ma per spergiuro rischiò l'impeachment. E allora la storia insegna che in questi casi è meglio una parola di meno che una parola di più.
Quel che ha tradito il ministro della Cultura è il riflesso condizionato di una politica che, autoconsiderandosi in uno stato di permanente minorità, si sente in dovere di giustificare e spiegare anche ciò che non necessiterebbe di molte spiegazioni. E quelle spiegazioni semmai sarebbero da dare a casa, non certo al Parlamento. Per la politica erano sufficienti poche righe: «Tra il ministro e la signora Boccia esiste solo un rapporto di tipo personale, che non riguarda l'istituzione». All'accusa provare eventuali colpe, fuori dai canoni del gossip e all'interno di quelli della pubblica amministrazione. La tv in prima serata invece ha cambiato il campo da gioco e segnato la fine della partita.
Per una situazione totalmente diversa, sempre sollevata da questo giornale, avrei detto la stessa cosa. Quando le indiscrezioni giornalistiche parlavano di una possibile inchiesta su Arianna Meloni per traffico di influenze, ho letto dichiarazioni autorevoli in sua difesa, ma in realtà distruttive per la politica. La linea di difesa infatti è stata: il capo della Segreteria politica di Fratelli d'Italia non si è mai occupata di nomine inerenti il governo. Ma perché? Io dico che un alto dirigente del partito più votato dagli italiani non solo può, ma deve occuparsi di nomine e di gestire quel potere che i cittadini gli hanno affidato. Mi chiedo quale altro ruolo dovrebbe avere e il solo fatto di giustificarsi o negare relega in un angolo la politica.
Allora che sia la vita privata di un ministro o la funzione di
un dirigente di partito, la politica torni a difendere i suoi spazi, perché un senso di colpa dopo l'altro stanno distruggendo la rappresentanza democratica, il cui giudice resta il voto degli italiani. Sempre e comunque.
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