La profezia di Pier Ferdinando Casini è di quelle chiare, che non lasciano dubbi. Del resto il personaggio, oltre a essere un ex presidente della Camera e un esponente dell'attuale maggioranza di governo, è anche il più longevo tra gli eletti di questa legislatura per tempo di permanenza nelle istituzioni. Per cui la sua lettura del futuro può essere considerata, a buon diritto, la parola dell'Oracolo del Parlamento: «Il governo Conte - sentenzia - è morto. È già morto, anche se la crisi si consumerà tra uno, due mesi. E sarà determinata da un clima da rivolta sociale per cui Conte sarà costretto ad andarsene. Un po' come avvenne nel 2011 con Berlusconi. Solo che il Cav è una persona seria, che ha senso dello Stato, e dieci anni fa prese da solo la decisione di farsi da parte. Invece Conte, che non ha l'istinto del politico o dell'imprenditore, sarà mandato via con i forconi».
È domenica e l'incontro casuale avviene sotto casa, nelle vie del quartiere Parioli di Roma, nell'ormai tradizionale passeggiata di metà mattinata: appuntamento quotidiano del lockdown nostrano; antidoto efficace contro lo stress, la paura e la pancia da pandemia. «Faccio dodici chilometri al giorno - confida Casini - per evitare di superare i fatidici 83 chili». La passeggiata prosegue a ritmo sostenuto e proprio mentre si avvicina l'incrocio dove si intersecano via Lima e via Panama, mentre l'ex presidente della Camera sta per riprendere il discorso sulla rivolta sociale, spunta sulla terrazza al primo piano di un palazzo signorile, un uomo brizzolato in calzoncini, che grida a squarciagola con la mano sulla bocca a mo' di megafono: «Governo di mmerdaaaa!!!». Casini non si scompone e con l'aplomb del democristiano d'antan, commenta con un sorriso: «... sentito?!».
La scena riassume in sé la comicità della commedia italiana e la tragicità di una possibile rivolta sociale, ma Casini fa finta di niente e prosegue nel suo j'accuse. «In Conte - spiega, lui che pure è un senatore della maggioranza - c'è un'incapacità di fondo. Dalla sua ha la fortuna che neppure Salvini e la Meloni brillano. Anche se quest'ultima è più accorta. Solo che nell'ipotesi di una rivolta sociale, anche loro rischiano di essere travolti. Berlusconi che ha assunto una posizione intelligente mi ha confidato che non capisce dove vogliano arrivare: dice che da un parte c'è un Conte che si è montato la testa e dall'altra ha due alleati che hanno assunto posizioni incomprensibili».
Questi sono i problemi: e la soluzione? L'«oracolo» ti guarda come se ciò che sta per dire sia un epilogo scontato, inevitabile. E la previsione sulla bocca di un personaggio che dieci anni fa predisse tre mesi prima la fine del governo Berlusconi, non può che far drizzare le orecchie: «Un governo di unità nazionale con Draghi!», esclama. E se gli si fa presente che forse superMario potrebbe non essere disponibile, risponde: «Se lo chiamano in un momento del genere, come fa a dire di no?! Lo stesso capo dello Stato con un Paese in queste condizioni, se la situazione precipitasse, sarebbe costretto a prenderne atto. Discorso che vale pure per i grillini, che non potrebbero permettersi di restare alla finestra».
Ci risiamo, in questo strano periodo sospeso tra una tragica emergenza sanitaria e una drammatica emergenza economica, la politica ha due livelli: quello alla luce del sole, dove si tira in ballo il dramma, per rifiutare ogni ipotesi di «crisi»; e quello sotterraneo, invece, nel quale molti sono consapevoli che, se non cambia un quadro politico che pecca di limiti strutturali, si rischia non la tragedia ma l'ecatombe. Al primo livello l'ipotesi di un cambio di governo è rifiutata a priori. E se, magari, per le follie grilline c'è il pericolo che Conte non possa avvalersi dei miliardi del Mes, si dà per scontato l'aiuto di Forza Italia: gratis. Il piddino Stefano Ceccanti addirittura scomoda Moro e le «convergenze parallele»: «condivisione» sui temi cruciali, ma «non governissimo».
Al secondo livello, quello più nascosto, invece, emergono tutte le debolezze dell'attuale equilibrio politico. «C'è un'insopportabile asimmetria - spiega l'azzurro Renato Brunetta -: per salvare il Paese, la maggioranza chiede il nostro aiuto; le nomine, invece, governo e maggioranza se le fanno da soli. È inaccettabile: un nostro aiuto presuppone un nuovo governo».
Inutile dire che nel secondo livello della politica, quello nascosto, la logica «cartesiana» di Brunetta è di moda. I primi a saperlo sono i grillini che, infatti, in ossequio alla loro recente conversione al «poltronismo», hanno anteposto il varo delle nomine a tutto, per il timore di perdere l'irripetibile occasione di mettere le mani sulle aziende di Stato. «Non so se Conte reggerà - sono i pour parler del sottosegretario 5stelle, Gianluca Castaldi - visto che è sotto un fuoco concentrico. Magari supererà lo scoglio del Mes, sempre che non ci sia in Parlamento un voto sulla sua utilizzazione perché il quel caso il governo si spaccherebbe. Noi, comunque, non saremmo disponibili per altri governi». Ragionamenti che tradiscono le contraddizioni grilline, contraddizioni che fanno vacillare la pazienza del Pd. Tant'è che nel secondo livello si narra di una frase dal sen fuggita allo stesso Dario Franceschini in una riunione ristretta di fedelissimi: «Se continua così creeremo le condizioni per andare verso un altro governo, senza lasciare impronte...».
Ma quale governo? Uno dei dominus dell'attuale maggioranza ha scritto tre ipotesi su un foglietto in cui Conte è indicato come un dead man walking: «La prima ipotesi è un Conte ter con Pd, grillini e Forza Italia ma non credo che Renzi ci starà; la seconda è un governo di unità nazionale con Draghi premier e, magari, con dentro tutti i leader, solo che il Pd non vuole fare il governo con la Lega; la terza è un governo politico-istituzionale sostenuto da Pd, Renzi, Forza Italia e una parte di grillini, presieduto da un esponente del Pd (Zingaretti-Franceschini) o da un tecnico alla Draghi e con Conte agli Esteri».
Appunto, già si ragiona sul «dopo Conte». Nella passeggiata con Casini, ormai in dirittura di arrivo, gli echi di queste congetture fanno capolino. Magari sono solo illusioni, ma l'«oracolo» è convinto che Conte ormai è a fine corsa. «Conte arriverà al capolinea tra luglio e settembre - ripete - quando la gente, dopo avere trascorso due mesi reclusa in casa, non avrà i soldi per andare in vacanza». La tragedia è solo agli inizi.
E per essere più esplicito l'ex presidente della Camera si lascia andare a una considerazione: «Presto ci saranno tanti poveri. E quando ci sono tanti poveri, anche i ricchi non vivono bene. È tutto il Paese a stare male».
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