A parte l'esistenza di Dio, e la reale necessità del Ponte sullo Stretto, non esiste al mondo tema più divisivo dei metodi educativi. Come si deve comportare un genitore coi propri figli? Certo: lo sappiamo anche senza bisogno di uno psicoterapeuta che fra lo stile permissivo, autorevole e autoritario in medio stat virtus. Poi però, in una frazione di secondo, devi fare i conti con la realtà che ti si schianta in faccia. Le reazioni sono diverse. Quando la signora B.C., 42 anni, sorprese la figlia dodicenne a inviare foto erotiche a un ragazzo di diciannove anni conosciuto in chat, d'istinto le rifilò due ceffoni. Risultato: un occhio nero, una ferita al labbro e un processo.
Ieri il Tribunale di Roma ha assolto la madre. Per il giudice la donna ha esercitato un diritto e adempiuto a un dovere. Gli schiaffi sono stati dati «al fine di educare la figlia». La seduta è tolta.
Ovviamente le considerazioni che si possono fare, a posteriori, sono mille. Ad esempio. Se si fossero mandati a processo i genitori della generazione di chi scrive perché usavano le mani, ci sarebbero stati i tribunali pieni e le case vuote. Che i figli cresciuti senza un paio di schiaffi sono quelli che poi ritrovi in piazza a sputare ai poliziotti. Che fra una sberla e un labbro spaccato c'è un discrimen.
Quello che incuriosisce, però, è la valanga di
commenti che sui social, per un giorno, hanno ricompattato gli italiani attorno alla categoria dei magistrati. Il 99% è favorevole alla sentenza. Cosa che dimostra quanto sia facile essere giusti. Ma difficile essere buoni.
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