«La scuola è al centro dei nostri pensieri». Certo, come no. Riapre tutto, forse persino il campionato di calcio. Tranne la scuola. Anzi no, riaprirà «già» a settembre, titolava ieri Repubblica. Con un avverbio che è tutto un programma. Ci sono dieci milioni di piccoli italiani di cui lo Stato si è dimenticato. Per gli esperti del premier «c'è un rischio elevato di contagi». C'è uno studio del Politecnico di Milano che dice il contrario o quasi. Così passa il messaggio - pericoloso - che il diritto all'istruzione e quello alla salute siano in conflitto. Non è così. Devono trovare un faticoso equilibrio.
La verità è che sono passati invano due mesi e non c'è uno straccio di idea su come aprire «già» a settembre. Ai sedicenti «esperti» delle varie task force basterebbe farsi un giro tra i siti e i giornali stranieri. Scoprirebbero che all'estero le classi riaprono o stanno per riaprire, i bambini vanno a scuola in classi da dieci, giocano a gruppi di tre o quattro (sempre con gli stessi compagni), c'è un angolo della tosse, il gel per sanificare giochi e bambini, il personale ha mascherine e guanti, misura loro la febbre, eccetera eccetera. Folli loro o pazzi noi? Basterebbe copiare, come si faceva a scuola quando si sceglieva il compagno di classe bravo nei compiti.
Non ci vuole uno scienziato per capire invece che, con l'alibi della salute, il governo sta condannando intere generazioni a sprecare il momento giusto per apprendere nozioni più o meno complesse come leggere, scrivere, far di conto o studiare astrofisica, derivate o Shakespeare. «La didattica a distanza, mediamente, sta funzionando bene», dice il premier. Senza rendersi conto di ammettere così che l'e-learning sta allargando la forbice sociale tra le classi anziché azzerarla. E questo è il fallimento della missione primaria della scuola. Ma al «pane» istruzione il governo continua a rispondere con la brioche «congedi parentali» e «bonus baby-sitter», come se la scuola fosse un parcheggio. E poi, chi starebbe a casa? Le mamme? È un'idea che trasuda un maschilismo che sembrava archiviato. Manca una visione sia in chi ci governa sia ahimè in chi governa la scuola - sindacati in testa - per cui tutto è demandato al «lasciar fare» alla didattica on line e ai genitori diventati loro malgrado «docenti». Beh, dai, è temporaneo. Ma come diceva Giuseppe Prezzolini «in Italia non c'è nulla di più definitivo del provvisorio e nulla di più provvisorio del definitivo».
Secondo Openpolis (lo racconta bene Maria Sorbi in Controcorrente di oggi) un alunno su dieci vive a due ore dalla sua scuola. E con la crisi dei trasporti l'e-learning potrebbe essere l'unica opzione. In attesa del «diploma di cittadinanza» e di un'uguaglianza marxiana al ribasso: tutti ignoranti ma in perfetta salute.
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