Da sempre, la destra ha elaborato un pensiero sull'ambiente. Tende però a giocare in difesa quando si parla di riscaldamento globale. Si va dal negare l'esistenza stessa del problema al negare le colpe dello sviluppo. Insomma: non fa più caldo. Ma se anche fosse, non è colpa dell'uomo. Posizione debole. Chi è nato all'inizio del millennio vuole un mondo più pulito, respirare aria migliore, contrastare l'aumento delle temperature (che sia reale o meno). D'altronde, messa così la questione, chi può dissentire? C'è qualcuno a favore di polveri sottili, anidride carbonica, inquinamento, caldo torrido, tempeste? Il futuro quindi sarà green. In ogni caso. Qualunque sia il verdetto della scienza.
Tanto vale che le destre conservatrici, liberali e cristiane si mettano alla testa del cambiamento e dicano chiaramente: solo noi possiamo guidare la rivoluzione ecologica. Solo la destra rispetta la proprietà privata. Solo la destra rispetta l'impresa. Solo la destra non innalza la natura a feticcio, anche perché la natura è il Creato, e non ci appartiene. Solo la destra ha un pensiero profondo sulle «risorse» e non le considera una quantità finita: la quantità di risorse dipende dalla nostra capacità di riconoscerle ed estrarle, in altre parole dal progresso della tecnologia. Solo la destra non pone un veto ideologico davanti al nucleare. Solo la destra non demonizza l'apporto del privato nella gestione dei beni naturali. Solo la destra ha la sensibilità per l'introduzione graduale del nuovo paradigma. Ovvio che in questa rivoluzione c'è un prezzo da pagare. Correre troppo però ha un doppio effetto negativo: il prezzo viene pagato da chi è più povero e suscita odio verso le misure. Chi vive a Milano, città cavia, sa bene quanto costa, e soprattutto a chi costa, la divisione in zone a traffico limitato e il cambio pressoché obbligato del parco macchine. Ma soprattutto: solo la destra avrebbe la forza politica di imporre una riforma seria. La sinistra non può. Non solo per la nota tendenza a spaccarsi in mille pezzi ciascuno dei quali impegnato nel dimostrarsi il più duro e puro. Abbiamo capito fin troppo bene che dietro al cosiddetto new green deal c'è un cambio totale del sistema economico in direzione socialista, con la statalizzazione di interi settori dell'economia e con l'esproprio-rinuncia di alcuni beni (come la macchina: ne potrete al massimo affittare una elettrica per spostarvi in città). Sono cose ampiamente teorizzate dai pensatori post comunisti. Ad esempio, leggete Il capitale nell'Antropocene (Einaudi) di Saito Kohei. Il filosofo giapponese è famoso per aver riscoperto l'ultimo Marx che mostrerebbe una coscienza ecologica per il resto assente nel Capitale. Saito Kohei va oltre la decrescita felice, una soluzione che, a suo avviso, non esce dal terreno del nemico, il capitalismo. Ci vuole il comunismo. Non quello di Stalin, ovviamente. Un comunismo bello, bravo e buono. Ma fior di studiosi hanno provato che comunismo e coercizione vanno sempre a braccetto. In Italia, Saito Kohei non è notissimo ma nel resto del mondo è una stella. Di recente, è stato protagonista, con Yuval Noah Harari, del principale evento della Buchmesse di Francoforte. Tutto esaurito.
Se qualcuno volesse farsi un'idea di cosa potrebbe succedere nel futuro può avventurarsi nella lettura del secondo romanzo di Stephen Markley, Diluvio (il primo è il celebrato Ohio). Sono 1294 pagine ma non spaventatevi. Si leggono in un baleno. Markley è abile nel costruire un insieme di storie elettrizzanti e destinate a incrociarsi almeno per un istante. Abbiamo tutta la gamma delle possibili risposte all'aumento delle temperature. Ci sono politici di ogni schieramento, attivisti di ogni orientamento, terroristi più o meno violenti, scienziati allarmisti e disincantati, lobbisti scatenati, uomini di marketing, l'alta finanza moralmente ambigua, populisti blasfemi nella loro ostentata religiosità, razzisti, nazionalisti, comunisti vecchio stile.
Raccontare un simile tomo è una impresa disperata oltre che inutile. In parte sono ricostruite in modo molto interessante le dinamiche politiche: e Markley mostra come sia la destra migliore a farsi carico delle riforme meno popolari. Ma è cruciale, nel libro, il rimescolarsi delle carte: i democratici sono più «cattivi» dei repubblicani. Davanti alla crisi, i partiti sono costretti a cambiare drasticamente, e alcune idee finiscono con l'essere trasversali. Poi c'è una parte dove Markley si abbandona alla fantasia, immaginando occupazioni, repressioni, leggi restrittive, aumento della sorveglianza digitale. Non mancano neppure le bombe e le sparatorie. Ogni storia ha un suo stile, una voce narrante diversa, e ogni tanto l'autore ricorre a finti documenti e finti titoli di giornali. In una storia, sono presenti dei riquadri dove Markley spiega i retroscena, i pensieri inconfessabili, i ricordi dei personaggi in azione. Tutti questi accorgimenti tengono sempre alta l'attenzione del lettore. Insomma, una prova di forza da parte di un autore solo al secondo romanzo, anche se il primo, Ohio (Einaudi), aveva già sorpreso per le sue qualità. Poi c'è la natura. Spietata, indifferente, spaventosa. Ci sono i roghi, le alluvioni, l'erosione delle coste, le tempeste di caldo. Fenomeni estremi che spingono spesso a prendere decisioni altrettanto estreme.
Infine, c'è un problema. Questo romanzo, per il resto così bello, cade rovinosamente nella poche righe dedicate all'Europa e all'Italia. Markley immagina che il nuovo politico di punta del Vecchio continente sia Anders Breivik, il norvegese autore della strage di Utoya. Vabbè, la prendiamo per satira. Questa invece non è satira: «Gli organi militari dell'Ukip nel Regno Unito, Alternative für Deutschland in Germania, del Rassemblement National in Francia, di Vox in Spagna e di Fratelli d'Italia incendiavano le moschee, aggredivano chiunque avesse la pelle scura e prendevano di mira giornalisti di sinistra e politici di centro sinistra». Siamo nella finzione, d'accordo. Ma immaginare che Fratelli d'Italia possa sviluppare un braccio militare dedito alla violenza razzista e politica non sta né in cielo né in terra. Non esiste un solo atto del governo Meloni che possa spingere a una simile conclusione.
Markley deve essersi fidato decisamente troppo dei denigratori dell'Italia e degli «allarmi fascismo» lanciati a caso da intellettuali in cerca di titoli sui giornali. Peccato, che scivolone. Markley dovrebbe imparare dal suo libro: sarà la destra a fare le riforme.
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