Sorpresa: un italiano si dimette Gli è fatale il bluff dei neutrini

Aveva annunciato: "Particelle più veloci della luce", ma non era vero. Così il professor Antonio Ereditato se ne è andato dal centro ricerche svizzero

Sorpresa: un italiano si dimette  Gli è fatale il bluff dei neutrini

Corto circuito. Fulminato da una scarica di neutrini, il professor Antonio Ereditato toglie il disturbo: sei mesi fa era il nuovo Einstein, sulla rampa di lancio per un Nobel, con la scoperta del secolo. I neutrini più veloci della luce, come da esperimento lungo la tratta Ginevra-Gran Sasso. Una rivoluzione dalla portata enorme, titolano tutti in quelle ore. Se vera, si aggiunge a titolo prudenziale. Ed effettivamente già da subito diversi cervelloni in giro per il mondo, tra loro i nostri Zichichi e Rubbia, non riescono a capacitarsi di un fenomeno tanto sconvolgente. Qualche tempo dopo, imbarazzo e gelo: dalle nuove misurazioni dello stesso Ereditato e della sua squadra, sempre tra Ginevra e Gran Sasso, la grande scoperta si rivela una malinconica patacca. Diamine, c'è una scoperta ancora più sconvolgente: gli strumenti della misurazione funzionano male. Allarme rientrato, la velocità della luce resta la più veloce. E la comunità scientifica si rimette tranquilla, sicura di una delle sue poche certezze.
Quanto a Ereditato, ci si chiede se non abbia peccato di leggerezza, annunciando troppo in fretta un risultato di simile portata. Se in qualche modo non si sia fatto tradire dall'ambizione e dalla vanità. Crivellato di dimostrazioni contrarie, il suo progetto «Opera» si trasforma più o meno in una farsa mondiale. Premio Nobel della superficialità. Troppo peso per un uomo solo. Così, le dimissioni.
Subito saremmo tutti portati a dire inevitabili, ma l'Italia, terra di scienziati che sbagliano le teorie sui neutrini, non è neppure un Paese dove si possano definire inevitabili le dimissioni di nessuno. In questo luogo, le dimissioni hanno tutta una loro storia e un loro vissuto, sul piano del costume e dell'etica.
A forza di sentirne ci siamo costruiti una frase fissa, più della pur radicata «Non ci sono più le mezze stagioni»: tutti diciamo che «in Italia non si dimette mai nessuno». E quando qualcuno si dimette, sappiamo commentare in un modo solo: «Questo è l'unico italiano che si dimette». Ma sì, la storia e la statistica parlano chiaro: da noi è sempre colpa di qualcun altro. Ci teniamo sempre aperta l'uscita di sicurezza del martirio. Dimissioni? E perché mai: sarebbe come ammettere i propri sbagli. Non ci penso nemmeno. Ho la coscienza a posto, io.
La casistica è copiosa. Mentre Ereditato cedeva decorosamente al suo insostenibile peso, Emilio Fede ancora resisteva stoicamente nel suo bunker di Milanodue, dettando condizioni e lanciando oscure minacce, uscendone alla fine soltanto per licenziamento. É questa, l'Italia delle dimissioni. C'è chi non le dà nemmeno sotto tortura e c'è chi le usa al ritmo di una ridicola tarantella, vedi Gianfranco Fini, che dopo averle promesse solennemente in diretta video, a cognato smascherato bellamente se ne impippa. C'è chi le minaccia tutti i giorni, prima dei pasti, come le buone medicine. C'è chi le sventola platealmente in pubblico, ma solo dopo essersi bene accertato che chi di dovere non si sogni di accettarle. E che comunque, nel caso, le respinga categoricamente.
Eppure tutti i luoghi comuni, con le loro innegabili verità sottese, non vanno presi per tavole della legge. Nel settore dimissioni, non è perfettamente vero che «in Italia non si dimette mai nessuno». Una certa Italia, davvero, non si dimette mai. Quella con il Vinavil sotto al sedere, che nemmeno in punto di morte rinuncerebbe al suo spicchio di potere, di rendite, di privilegi. Ma c'è dell'altro. Sì, ci sono anche gli italiani che si dimettono. Mi viene in mente Bertolaso. Ma ce ne sono tanti altri che ad un certo punto della loro vita, davanti all'errore imperdonabile o alla sconfitta totale, riescono a trovare e a provare il difficile sussulto della dignità, salvando almeno quella, l'unico bene primario e intangibile.
A quest'altra Italia, minoritaria e anomala, va iscritto con rispetto il professor Ereditato, 56 anni, napoletano, docente all'università di Berna. A 56 anni si è troppo giovani per essere vecchi e troppo vecchi per essere giovani. Non si ha ancora una vita alle spalle, ma non si ha più una vita davanti. É comunque un'età molto difficile, per lasciare qualcosa. Con la sua scoperta ricoperta, Ereditato si assume fino in fondo le proprie responsabilità.

Ci sono onori e oneri: un uomo deve sopportare entrambi allo stesso modo, in certi posti. Cadere in questo modo, per quanto doloroso, assicura però un giusto rimbalzo. Anche il professore rimbalzerà. Magari non alla velocità della luce. Diciamo alla velocità dei neutrini.

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