La speranza che piega il male

Un anno fa, le immagini dell'esercito a Bergamo. Cosa è rimasto di quei giorni?

La speranza che piega il male

"Signore - chiese don Camillo - se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi? Il Cristo sorrise: 'Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede'". Così il Cristo dell'Altar maggiore risponde a un don Camillo preoccupato dal nulla che avanza. Bisogna salvare il seme: la fede. Che diventa speranza perché basata sulla certezza che il male non può vincere. Et portae inferi non praevalebunt, le porte dell'inferno non prevarranno, dice il Vangelo di san Matteo.

"Andrà tutto bene", si diceva durante i primi giorni della pandemia. Così non è stato. In poche settimane i canti e i balli sui balconi hanno lasciato spazio alle lacrime e alle bare. Le città erano - e sono ancora oggi - vuote. Spettrali. Ciò che fino a pochi giorni prima dell'arrivo del Covid-19 era considerato normale (il socializzare) cominciava ad esser visto con sospetto. Si iniziava ad aver paura del prossimo, visto prima come potenziale untore, e solo in un secondo momento, come un essere umano. A furia di urlare "andrà tutto bene" abbiamo perso la speranza. La fede.

Il culmine della tragedia, come è noto, è arrivato il 18 marzo scorso. Una notte impossibile da dimenticare. Quel giorno, infatti, i camion dell'esercito arrivarono a Bergamo per portar via i corpi di coloro che erano stati uccisi dal Covid-19. Il capoluogo orobico non aveva più spazio per dare riposo ai suoi stessi figli, che dovettero cercare il riposo eterno altrove. Questo è ciò che il 18 marzo rappresenta per il nostro Paese. Ed è per questo motivo che oggi il presidente del Consiglio, Mario Draghi, si recherà a Bergamo. Per ricordare che no, non è andato tutto bene. Che qualcosa è andato storto, che tante famiglie hanno perso delle persone che amavano.

Per me, però, il 18 marzo è anche la speranza. Tutto è iniziato con una telefonata, nel cuore della notte: "Si sbrighi, sua moglie sta per partorire. Ci vediamo in sala parto". Una questione di minuti, la corsa in ospedale e le ostretiche di turno che ascoltano le notizie su questo strano virus arrivato da poco. Poi l'urlo improvviso di chi vuol prendersi la vita: "Ci sono anche io", sembra dire la piccola arrivata. Nonostante tutto. Nonostante il male e la sofferenza che avanzano. Perché non è vero che nella vita tutto va bene. Ci sono vittorie e sconfitte. Ci sono gioie e dolori. Ci sono salute e malattia. Ci sono amore e tradimenti. In quell'urlo c'è il vero "andrà tutto bene". Che non significa che nella vita non ci saranno sofferenza e dolori. Che le malattie scompariranno insieme alla morte. Significa che la vita e l'amore sono più forti di tutto.

Come ha scritto John Ronald Reuel Tolkien: "Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l'amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte".

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