La spinta del voto e le nuove sfide

Questi anni finali di legislatura saranno quelli in cui si faranno più profondamente i conti con la realtà

La spinta del voto e le nuove sfide
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Qualche tempo fa, neppure tanto. È il 28 aprile e Giorgia Meloni dice a tutti che si candiderà alle elezioni. Pescara quel giorno guarda all'Europa. È un discorso spigliato e c'è una frase che assomiglia a una richiesta di affetto o di conferme, magari per capire se tutto quello che sta vivendo abbia un senso. Ne vale la pena? Il potere logora chi non ce l'ha, ma non è vero che non pesa per chi lo porta. È la maledizione dell'anello. «Se ancora credete in me scrivete sulla scheda Giorgia». No, non è soltanto una frase accattivante. C'è qualcosa di reale. È un passaggio importante anche per il futuro. Il capo del governo sta chiedendo una conferma ai suoi elettori. Adesso, quarantadue giorni dopo, quella risposta è arrivata. È in fondo quella più equilibrata. Non è troppo e non è poco. È abbastanza per sentirsi rinfrancata, per non far impazzire la maggioranza come una maionese, per continuare a irritare chi non la sopporta, per non rilassarsi e per scacciare il fuoco fatuo di Renzi e, affatto irrilevante, per giocarsi un ruolo in Europa proprio ora che Macron e Scholz sono risucchiati dalle tempeste sotto casa. Non c'è dubbio che il giorno dopo il sentimento è di soddisfazione. È andata, per lei, nel migliore dei modi possibile.

È come aver vinto il secondo set al Roland Garros, ora bisogna chiudere la partita, sapendo che i primi due non sono stati una passeggiata e che il terzo sarà lungo e il rischio è che il finale sarà un tie-break sotto forma di referendum. Non si finisce mai e l'ambizione è di lasciare un segno per chi verrà dopo sulla terra rossa. È il senso di quell'azzardo politico che per brevità chiamiamo «premierato», una riforma immaginata già negli anni '60 da Costantino Mortati, principe dei costituzionalisti, e che adesso per le opposizioni invece è diventata lo spettro di un regime da denunciare in tutti i luoghi e in tutti i laghi, rifiutando ogni confronto parlamentare ma invocando direttamente le piazze. È la strategia di chi ha deciso di giocarsi ogni punto senza preoccuparsi troppo delle regole democratiche. Sarà insomma una rissa che avrà come terreno i fantasmi del Novecento. La Meloni dovrà in tutti i modi stare lontana da questo fronte di gioco, perché se si lascia imprigionare da questi botta e risposta non avrà la serenità per governare. Il corpo a corpo non è adatto al terzo set, perché senza grandi passaggi elettorali ci si può muovere più leggeri e senza la ricerca del consenso giorno per giorno. Non si governa sulla cronaca, ma sulla prospettiva. Si può pensare in grande, allargando gli orizzonti, spiazzando e sorprendendo l'avversario dove lui non se l'aspetta, puntando sul futuro senza caricandosi di passato. Questo significa ridurre gli errori gratuiti e incrementare la percentuale di prime palle. Non subire, ma costringere l'altro a inseguire con affanno quello che si fa. Si può giocare con meno tensione, con la fiducia di chi ha già fatto qualcosa che anni fa era perfino difficile da immaginare. Niente paura e niente alibi. Il problema è che il tennis è uno sport individuale, la politica no. Lo scenario è parecchio più complesso. Non basta vincere, perché il senso alla fine di tutto questo è dare una opportunità a milioni di individui. A pensarci ci vuole un coraggio che non è mai così scontato, soprattutto se per carattere e sensibilità umana ci credi veramente.

Questi anni finali di legislatura saranno quelli in cui si faranno più profondamente i conti con la realtà, quella economica e sociale, quella che si rivolge a chi fatica ad arrivare a fine mese e si ritrova da decenni con un salario che sfuma davanti all'inflazione. È questa la missione su cui tutti i governi si sono misurati e, chi più e chi mano, ha dovuto ammettere di non aver fatto abbastanza. Il ceto medio nel frattempo è scivolato ogni giorno un po' più giù, fino a non riconoscersi, a non ritrovarsi. Il debito pubblico in Italia è ormai un concetto metafisico. La chiave però è lì. Ci sarà da fare scelte che non sempre piaceranno, ma che sono necessarie per dare respiro ai salariati. I margini di manovra sono limitati e questo significa per forza scontentare qualcuno. Ci sono tasse da far pagare e altre, soprattutto quelle sul lavoro, da tagliare il più possibile.

C'è una questione che poi non va dimenticata.

Le percentuali elettorali di tutti i partiti sono gonfiate da chi non ha votato. È la metà degli aventi diritto. È una democrazia dimezzata. Questo Giorgia Meloni lo sa e non ha mai avuto la pretesa di governare con il sostegno dei pochi.

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