Mario Draghi ha aperto una porta, quella del tempo. Non conta quanto resterà a Palazzo Chigi, un anno o due, e neppure la sua età anagrafica, il suo discorso al Senato, almeno per un giorno, ridefinisce l'orizzonte della politica: lo sposta, lo allarga, lo proietta al di là degli affanni quotidiani. Non ci eravamo più abituati. È come scoprire all'improvviso l'idea della prospettiva. Il futuro è un'ipotesi e già questo te lo rende meno oscuro. Non ti fa così paura e anche se non ti piace o non lo condividi è sempre meglio del vuoto.
È la fuga dalla politica del minuto per minuto: frammenti, frasi, dichiarazioni. Tutte gettate lì come un'esca per creare traffico, polemiche, litigi, indignazioni. È la fuga dalla politica scandita settimana dopo settimana da nuovi divieti, dal «si può fare e non si può fare», rincorrendo la prossima emergenza. È la fuga da una politica che può solo galleggiare, perché qualsiasi visione rischia di minacciare l'equilibrio trovato a fatica. Allora è meglio non dare troppe indicazioni sulla rotta, non pensare troppo in là, ma resistere bene arroccati nel presente, togliendo al tempo ogni profondità.
Draghi sa che non starà lì a lungo, ma ha parlato come se il suo futuro fosse illimitato. Ha detto che l'Europa è un continente circondato da tre giganti, Usa, Russia e Cina, che si stanno giocando il destino del mondo e l'Italia per essere ancora Italia non può restare da sola. Se lo fa la sua sorte è segnata: questo o quel pescecane si affretterà a mangiarla. Lo dice così: «Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell'Unione europea. Senza l'Italia non c'è l'Europa. Ma, fuori dall'Europa c'è meno Italia. Non c'è sovranità nella solitudine. C'è solo l'inganno di ciò che siamo, nell'oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere».
Sapere chi siamo, dove stiamo, dove andremo non sono solo parole. Non è una seduta psicanalitica. Non è filosofia da perdigiorno. È consapevolezza. Qualsiasi progetto non può che partire da qui. Significa fare i conti con i nostri limiti, con le opportunità, con le strade da prendere, sulla scelta da compiere davanti ai bivi, sui vicoli ciechi. La scelta dell'euro è irreversibile non perché la moneta europea sia qualcosa di sacro e metafisico, ma perché non è più possibile tornare indietro. Non ce lo possiamo permettere. È inutile allora evocare possibilità che non ci sono. Non ha senso, secondo Draghi, portare nel dibattito pubblico un'opzione strategica senza sbocchi reali. C'è chi ha interpretato la «non reversibilità» come una risposta polemica a Salvini. È qualcosa di più. È un metodo. È un modo di ragionare. È l'abitudine ad affrontare le questioni politiche in una prospettiva che va al di là della battuta o della provocazione del giorno.
I malanni dell'Italia sono la conseguenza di scelte del passato. C'erano scelte da fare che non sono state fatte. Qualcuno non le ha viste, altri non ne hanno avuto la forza, altri ancora non sono stati abbastanza coraggiosi o hanno tirato a campare. È il tema delle riforme. È qui che Draghi si gioca buona parte del senso della sua avventura. La prima sfida è l'emergenza sanitaria, ma poi c'è come usciremo dalla pandemia. Non puoi limitarti a sopravvivere, anche questa è una scelta che non ci possiamo permettere. Il riferimento a Cavour non è buttato lì per il gusto della citazione. «Vedete, o signori, come le riforme compiute a tempo, invece d'indebolire l'autorità, la rafforzano, invece di crescere la forza dello spirito rivoluzionario, lo riducono all'impotenza». Non è solo con consiglio sull'arte del buon governo. Le parole di Cavour sono del 1850. È appena stato nominato ministro dell'Agricoltura. La prima guerra d'indipendenza è finita da un anno. Il Piemonte ne è uscito sconfitto. Carlo Alberto ha abdicato a favore del figlio Vittorio Emanuele. È in quel momento che Cavour comincia a pensare che l'unità d'Italia non sia solo un'utopia. Pochi anni dopo con la guerra di Crimea il conte comincia a tessere le sue trame. È da lì che l'impossibile diventa possibile. L'Italia nasce perché c'è una visione.
Non tutto va come se lo aspettava Cavour. C'è l'imponderabile, c'è la fortuna, ci sono errori e sacrifici, ma una cosa è certa: il futuro non puoi prevederlo, ma se non provi a immaginarlo non arriva. La politica è l'arte di scommettere sul futuro.
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