In questo venerdì mattina erano sorte già delle anticipazioni sull’intervista curata da Francesca Mannocchi a Bija, nome di battaglia di Abdou Rahman e presunto trafficante che ha però partecipato come rappresentante della Guardia Costiera libica in un incontro al cara di Mineo.
Ed in quelle anticipazioni era già possibile notare alcuni particolari di non poco conto, come ad esempio la divisa della Guardia Costiera addosso a Bija ed la dovizia di dettagli con cui l’intervistato ha rivelato la modalità con la quale regolarmente ha ottenuto il visto per l’Italia.
Dettagli che già di per sé potevano mettere in imbarazzo il governo, ma con la visione dell’intervista integrale andata in onda questa sera su Propaganda Live dubbi e domande sono aumentati.
In primo luogo, l’intervista viene effettuata in quella che è sembrata una sede istituzionale del governo di Tripoli. Bija è apparso con la divisa della Guardia Costiera, la sua menomazione alla mano destra frutto di un episodio accaduto in battaglia nel 2011 era ben visibile e, non di rado, durante il colloquio si è sentita una voce fuori campo che suggerisce all’intervistato alcune risposte.
Come ha poi rivelato Francesca Mannocchi, quella voce era di Ayoub Qassim, storico portavoce della Guardia Costiera Libica. E qui sono emerse spontaneamente altre e diverse domande. La prima sul ruolo di Bija: lui, raggiunto da inchieste che negli anni lo hanno inchiodato quale trafficante, nel 2018 è stato sanzionato dal consiglio di sicurezza dell’Onu proprio in base ai report compromettenti. Da quel momento, come ha ribadito appena poche settimane fa il governo di Tripoli, Bija è risultato estromesso da ogni ruolo. Invece eccolo davanti alla giornalista italiana con tanto di divisa e con lo stesso portavoce Qassim a suo fianco.
“È stato evidentemente reintegrato – ha poi specificato la stessa Francesca Mannocchi dallo studio – Ha fatto intendere di aver ripreso il suo posto grazie al suo operato sul campo”. Bija dunque è, ad oggi, un effettivo della Guardia Costiera libica e si è fatto anche intervistare in una sede istituzionale.
Lui, durante l’intervista, è sembrato avere l’aria di chi sa di avere i riflettori puntati addosso, un elemento di prestigio per lui e per la sua tribù di Zawiya. E Bija forse sapeva bene pure che ogni sua parola è destinata ad centellinata in Italia e potrebbe avere pesi non indifferenti.
Per prima cosa il libico ha confermato di essere stato in Italia l’11 maggio 2017, così come rivelato dal reportage di Nello Scavo, anch’egli presente alla trasmissione Propaganda Live. Non solo: Bija ha parlato di un vero e proprio “tour” in Italia, che non lo ha portato solo all’incontro incriminato dentro il Cara di Mineo, bensì anche a Roma. Assieme alla sua delegazione composta da dodici persone, di cui però non ha fornito (a precisa domanda) alcuna indicazione, avrebbe varcato la soglia anche di alcuni palazzi romani.
“Ho incontrato personalità della Guardia Costiera – ha poi continuato Bija – Ho visto come funzionavano i vari centri d’accoglienza”. Lui descrive quei giorni quasi come un vero e proprio corso di formazione. Ed ha aggiunto anche un dettaglio importante: “L’invito è arrivato dall’Oim”, con riferimento all’agenzia Onu che si occupa di migranti. Una circostanza questa che andrebbe a smentire quanto dichiarato, dalla sede di Ginevra, proprio dall’Oim la quale, nei giorni scorsi, ha invece dato al Viminale la paternità di quell’incontro.
“Le trattative con l’Italia comunque – ha precisato Bija, aggiungendo un altro particolare importante – Non andavano avanti solo in quei mesi, andavano avanti da anni”. Dunque, da Roma la situazione era molto conosciuta. Secondo il libico, l’aiuto italiano è stato importante perché sono stati forniti mezzi alla “sua” Guardia Costiera, circostanza che avrebbe permesso poi ai suoi uomini di operare.
Bija si è poi lanciato verso una critica nei confronti delle organizzazioni non governative: “Quando le Ong si avvicinavano alla Libia, il traffico di migranti cresceva”, ha dichiarato a Francesca Mannocchi.
In poche parole, si ha a che fare con uno scenario in cui a saltare fuori è la conferma degli incontri ad alto livello tra Bija e le autorità del nostro paese, trattative che sono andate avanti per anni e concluse poi sotto il governo Gentiloni. E quando l’intervistatrice ha fatto presente le accuse sul suo ruolo di trafficante, Bija è sembrato avere per un attimo un ghigno per poi rispondere che si tratta solo di bugie: “Ma rispetto la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu”, ha però concluso in un insospettabile tono diplomatico.
Ed anche quando è stato fatto notare un video dove si è notato Bija picchiare alcuni migranti, il libico si è difeso dicendo che in quel momento è servito per riportare ordine in una fase di agitazione durante un soccorso.
Per nulla turbato ma anzi quasi inorgoglito da questa attenzione mediatica degli ultimi giorni, Bija ha quindi fornito la sua verità che non può fare altro che imbarazzare ulteriormente le autorità italiane. Tanti infatti gli elementi confermati: dalla trattativa alla visita in Italia, passando per il suo ingresso con regolare visto e senza manomissioni della sua identità, come invece nei giorni scorsi ha sostenuto il Viminale.
Tante conferme, ma anche tanti dubbi.
A partire da quello che riguarda il ruolo attuale di Bija, il motivo reale del suo reinserimento tra gli uomini in divisa libici e la composizione della delegazione presente in Italia due anni fa. Interrogativi che, nei prossimi giorni, faranno crescere la pressione politica anche sull’attuale governo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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