Coronavirus, racconto choc dell'infermiera: "In un'ora precipita tutto..."

L'operatrice sanitaria di un ospedale della Brianza racconta le condizioni in cui arrivano i malati di Covid-19 nella sua struttura sanitaria: "Arrivano con difficoltà respiratorie e sembrano normali, ma un'ora dopo precipitano"

Coronavirus, racconto choc dell'infermiera: "In un'ora precipita tutto..."

La conseguenza più evidente del contagio da coronavirus è la trasformazione del volto, dovuta a un repentino peggioramento dello stato di salute dei pazienti. In ospedale, magari, alcuni ci arrivano in condizioni complicate, ma non ancora del tutto compromesse, eppure può capitare che tutto cambi nel giro di poco tempo. Anche soltanto di un'ora. A raccontarlo, intervistata da Libero, è un'infermiera di terapia intensiva una struttura sanitaria della Brianza, che ha spiegato ciò che vede durante i suoi turni da 12 ore a contatto con i malati positivi al Covid-19: "La cosa che mi impressiona di più è la 'trasformazione repentina': i pazienti arrivano con difficoltà respiratorie e sembrano 'normali', ma un'ora dopo 'precipitano', li intubiamo e in un attimo somigliano a zombi".

Un'emergenza continua

"L'altro giorno è arrivato un signore di 81 anni: gli abbiamo messo una 'maschera' e ossigenava bene, ma nel giro di 45 minuti è precipitata la situazione, l'acqua ha invaso gli alveoli e lo abbiamo intubato d'emergenza", ha spiegato l'operatrice sanitaria, che normalmente è una perfusionista, cioè una professionista che assite le operazioni di cardiochirurgia. Ma siccome negli anni della sua formazione ha fatto la scuola da infermiera, per questa emergenza è stata trasferita nel reparto dove arrivano i malati con diverse complicanze legate al virus. E come a lei è accaduto a diversi colleghi.

"Hanno i volti trasfigurati"

Nel raccontare l'evidenza delle conseguenze della malattia, l'infermiera ha spiegato come vengono trattati i pazienti con le complicanze: "Per farli respirare li 'proniamo', li mettiamo a pancia in giù per tante ore, serve per 'reclutare' il polmone, quando li giriamo hanno i volti trasfigurati per la pressione, non sono più loro. Per me è la cosa più spaventosa". E se uno dei problemi maggiori che ha colpito le terapie intensive è la mancanza dei posti, un'altra questione importante (per infermieri e operatori) sono anche le linee guida che cambiano: "Come tutti seguiamo le direttive dell'organizzazione mondiale della sanità, solo che cambiano una settimana dopo l'altra a seconda di quello che dicono gli studi sul virus e dobbiamo adattarci più in fretta possibile. Si rischia di sbagliare".

La terapia intensiva

Nell'ospedale dove lavora l'infermiera interpellata dal quotidiano, al momento, tutti i posti in terapia intensiva sono occupati, "ma ce la caviamo": "Erano dieci, ne abbiamo 'costruiti' altri sei. L'altro giorno è arrivato un paziente da Bergamo in condizioni critiche, ce li manda la Regione, non c'era ancora una postazione pronta e allora un collega lo ha ventilato artificialmente per tre ore. Alla fine era stremato".

Le condizioni dei pazienti

Come descritto dall'operatrice sanitaria, la maggior parte dei pazienti deve superare la polmonite: "Una volta guariti tornano a casa, per questi abbiamo 50 posti, attualmente tutti pieni. Arrivano terrorizzati, uno mi ha detto: 'Che brutta fine che faccio'. Aveva 60 anni e per fortuna sta bene. Il problema è che molti arrivano già in condizioni drammatiche". Secondo quanto riportato dall'infermiera, l'età media dei malati è di 55/60 anni, "molti più maschi che femmine". "Sono soli, arrivano in pronto soccorso con i loro vestiti in una sacca, i parenti non possono salire sulle ambulanze, né possono venire a trovarli. Al massimo parlano al telefono con i dottori", chiarisce l'infermiera lombarda.

"Dalla terapia intensiva torna uno su due"

L'operatrice sanitaria, nel descrivere i dettagli delle circostanze che riguardano i malati che accedono al suo reparto, ha chiarito anche la situazione di quelli più gravi: "Gli intubati, ovviamente, sono costantemente addormentati, li sediamo, il problema sono gli altri 50 (quelli contati in precedenza, ndr). Se uno di quelli 'precipita' e ha bisogno di essere intubato non trova posto. Il timore è di dover arrivare a fare delle scelte tra giovani e meno giovani, da altre parti lo stanno già facendo e comunque dalla terapia intensiva torna uno su due".

La paura del contagio

Tra le paure elencate dall'operatrice sanitaria c'è, oltre alla visione ripetuta della morte, il fatto di non sapere quando terminerà questa emergenza: "La sensazione costante che la situazione possa precipitare". Ma esiste anche il timore personale di "portare la malattia a casa": "Il primo giorno, alla scuola da infermieri, ci dissero: 'Se avete paura di ammalarvi questo non è il vostro posto'. Ho fatto la mia scelta, nessuno ci aveva detto 'Un giorno avrete terrore di contagiare i vostri figli'. In fondo, loro non possono scegliere".

Le protezioni per gli infermieri

E alla domanda su quali siano le misure per proteggere il personale sanitario, l'infermiera lombarda ha dichiarato: "Abbiamo la tuta chirurgica, tre paia di guanti, lo scafandro che deve coprire tutta la testa per impedire che il virus si attacchi ai capelli, la mascherina, la visiera e i calzari sopra gli zoccoli. Lavorare con tutta questa roba addosso è realmente complicato, ma non si può fare altrimenti".

"Il momento più complesso? La svestizione"

Come raccontato dall'operatrice sanitaria, uno dei momenti più complicati per loro è al termine del turno. "La svestizione è l'attimo più complicato", spiega lei. Che poi ne descrive i dettagli: "Al termine del turno di 12 ore andiamo in una stanza e seguiamo la procedura. Ci guardiamo tra colleghi per non sbagliare. Togliamo la tuta 'alla rovescia' per non toccare le parti contaminate, buttiamo tutto in un sacco, solo la visiera viene sanificata. Poi cambiamo gli zoccoli, ci laviamo le mani con un gel a base alcollica al 70% ed entriamo in un'altra stanza dove facciamo la doccia, poi ancora gel per le mani, quindi ci vestiamo e lasciamo l'ospedale".

"Non ci fermiamo mai"

Come lei, molti altri professionisti sono stati spostati dai loro reparti per aiutare dove, al momento, c'è più bisogno. "Qualcuno non se la sente e viene mandato in terapia intensiva 'bianca', quella dove non ci sono i contagiati. In generale facciamo il massimo per imparare le procedure", spiega l'infermiera lombarda. E siccome il virus, in ospedale, è ovunque, gli operatori sanitari non si fermano mai: "Chi si ferma, per mangiare o per fare una telefonata a casa, lascia più lavoro agli altri e deve affrontare tutta la procedura. E comunque anche togliersi la mascherina è un problema: se te la levi e mangi, poi non riesci più a rimetterla. Il viso si gonfia e ti si taglia la faccia".

"Eroi? Solo nostro lavoro"

"Questo è solo il nostro lavoro", spiega l'infermiera quando gli viene fatto notare che in molti, in questi giorni, definiscono gli

operatori sanitari "eroi": "La cosa più importante è poter continuare a farlo nelle condizioni migliori, per questo servono postazioni e rinforzi, anche perché nessuno può sapere quando finirà questa storia".

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