«Cuba ha mobilitato l’esercito contro gli Usa»

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Cuba mobilitata. «Decine di migliaia» di riservisti sono stati richiamati dal giorno in cui le condizioni mediche di Fidel Castro sono drasticamente peggiorate. Lo ha annunciato, rompendo un silenzio di 18 giorni, il fratello del dittatore, Raul Castro, che ha assunto ad interim tutti i poteri. Egli ha raccontato adesso in una intervista a Granma, l’organo ufficiale del Partito comunista cubano, di aver provveduto già il giorno dopo a far scattare un «piano per ogni evenienza» preparato da mesi e firmato da Fidel in gennaio. L’evenienza, egli ha precisato senza che ce ne fosse minimamente bisogno, è una «aggressione dell’isola da parte degli Stati Uniti. Per prevenirla e scoraggiare ogni velleità del genere sono state prese tutte le misure necessarie». Gli intenti di Washington, ha aggiunto Raul, sono apertamente aggressivi e le ultime dichiarazioni del presidente Bush delineano un carattere apertamente interventista. «Il governo degli Stati Uniti ha dichiarato, con il massimo della sfrontatezza, che non intende accettare la Costituzione cubana e le sue regole. Come se fossero i padroni del pianeta, gli americani dicono che sarebbe necessario mettere in moto subito un meccanismo di transizione verso un regime sociale di loro gusto e che “prenderanno nota di tutti coloro che vi si opponessero”. Un atteggiamento da bullo di quartiere e di enorme stupidità, che sembra incredibile ma che Bush ha assunto pochi giorni fa. Sarebbe dunque stato irresponsabile da parte nostra non fare subito fronte a una minaccia di questo genere». Anche perché, ha aggiunto il lìder pro tempore della dittatura dell’Avana, «non possiamo escludere il rischio che qualcuno all’interno del governo degli Stati Uniti diventi pazzo. Ancora più pazzo». Per questo motivo il regime ha «preso tutte le misure per prevenire qualsiasi tentazione di aggressione. Oggi nessun nemico potrà sconfiggerci». La Casa Bianca dovrebbe convincersi che «con le minacce e con gli ultimatum da noi non si ottiene nulla, mentre invece noi siamo sempre stati disposti a normalizzare le relazioni con gli Stati Uniti mediante il dialogo e su un piano di parità. Quella che non accettiamo è l’arroganza».
Non è del tutto chiaro, nelle parole di Raul Castro, se la fase di «allarme rosso» (per servirsi di una espressione americana) sia passata o invece tuttora in vigore. Il fratello di Fidel insiste anche (e non è una sorpresa dato il suo ruolo, ma anche il foro in cui si è espresso, l’organo ufficiale del partito unico di Cuba) sulla «tranquillità, maturità, coscienza rivoluzionaria e unità monolitica» del popolo dell’isola, riprendendo il lessico usuale delle dittature. Non è una sorpresa, del resto, perché Raul rappresenta all’interno del regime non soltanto la fedeltà inerente nel suo rapporto di parentela con l’uomo che per 48 anni ha esercitato a L’Avana il potere assoluto, ma anche la continuità e l’ortodossia, anzi un ruolo addirittura maggiore per il Partito comunista. La stessa struttura di potere messa in piedi in queste settimane a Cuba riecheggia la pratica sovietica della «direzione collettiva» sperimentata già alla morte di Lenin e poi alla morte di Stalin.
Raul ha assunto sì tutti i poteri il 31 luglio (temporaneamente, s’intende), ma lo ha fatto anche a nome di una «giunta» di cui fa parte un’altra mezza dozzina di membri della nomenklatura cubana, da Carlos Lage (vicepresidente e responsabile per l’economia) a José Ramon Machado, a José Ramon Balaguer, oltre che tre esponenti della «giovane guardia», particolarmente vicini alla famiglia Castro. Raul, certo, è qualcosa di più di un primus inter pares: ha conservato infatti il ruolo ministro della Difesa, che è suo ininterrottamente dal 1959, all’indomani della conquista del potere, quando cominciò ad occuparsi di riorganizzare le forze armate. Di conseguenza hanno fatto carriera nei vertici militari uomini di lealtà raddoppiata: a Fidel e a Raul. Quest’ultimo si è anche occupato nell’intervista della salute del fratello, che ha definito «soddisfacente e in miglioramento graduale, grazie alla robustezza eccezionale del suo fisico e della sua mente».


Fino all’altro giorno Raul si era corazzato nel silenzio. Non aveva parlato e lo si era visto in televisione in due brevi occasioni: al capezzale di Fidel nel suo ottantesimo compleanno e all’aeroporto dell’Avana, per ricevere il «compagno» venezuelano Hugo Chavez.

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