Forte e gentile, si usa dire dell’Abruzzo, prima regione italiana in ordine alfabetico e forse anche nella lista di quella più vittima di pregiudizi e semplificazione. Anche da un punto di vista gastronomico: la cucina abruzzese viene classificata come sapida, ruvida, ruspante. Una proposta da cui è difficile aspettarsi guizzi creativi.
Chi dice questo ignora un sacco di cose. Ad esempio che quello che io considero il più pensante e in fondo interessante chef italiano in Abruzzo è nato e in Abruzzo lavora: si chiama Niko Romito, ha tre stelle Michelin e un pasto da lui è sempre un’esperienza perturbante. Pur mantenendo, si badi, mani e piedi nella sua terra. Altra cosa che chi riduce l’Abruzzo a un’idea di gastronomia pastorale e poco altro ignora è che pur essendo tra le più piccole regioni italiane, essa ha una biodiversità incredibile, con tre fasce geografiche e climatiche ben distinte: la costa, la collina ricca di pascoli e la montagna, che garantiscono una inusitata ricchezza di ingredienti. L’Abruzzo è un po’ il Perù italiano, selvaggio e ricco, austero e saporoso.
A interpretare questo orgoglio dell’Abruzzo contemporaneo consciod ella sua storia, che sa parlare il dialetto ma anche un italiano con perfetta dizione, è Franco Franciosi, chef e patròn di uno dei locali più interessanti dell’intera regione, Mammaròssa in quel di Avezzano, nell’Abruzzo profondo. Franciosi ha inventato un progetto, chiamato Quote, che vuole ricercare e documentare tutto il patrimonio agroalimentare della regione come più importanti chef hanno fatto in altre aree del mondo (penso a Virgilio Martinez e al suo viaggio attraverso il Perù di Mater, per tornare al paragone già introdotto) e rielaborare tutto questo materiale nel corso di cene evento. Quella attualmente “in corso”, Quote Autunno Capotempo”, è un percorso in otto portate al prezzo di 100 euro per persona. Si parte con Lattuga arrosto (estratto di lattuga, mandorla, limone fermentato), poi si prosegue con Lenticchie (con carote, zenzero, finocchietto selvatico), Radicchio fermentato (erborinato, aceto di visciole, sesamo), Aia (uovo al tartufo, pane croccante, puré alla Robuchon), Valle appenninica (ceci, castagne, rosmarino), Pascolo (Risotto, cipollotto, formaggi del Parco, pepi, alloro), Transumanze (pecora, spezie del deserto) e Pain perdu (cagliatella di latte, caffè, nocciola). Tutti gli ingredienti, quando non autoprodotti, sono reperiti presso piccoli artigiani locali, considerati non come fornitori ma come veri e propri partner del progetto. Naturalmente il menu cambierà presto, lasciando spazio a itinerari differenti ma sempre molto panoramici.
Il locale ha un décor pulito e lineare (tavoli di legno tondi, sedie colorate, poche decorazioni, bei quadri contemporanei, qualche tocco di design), che induce a concentrarsi sul cibo e sulle persone con cui condividerlo, sulle passioni e sui racconti, senza distrazioni folcloristiche.
La sala è empatica e calda, di quella familiarità che non serve a giustificare sciatterie ma a far sentire chiunque a casa propria, e ciascuno può modulare il grado di confidenza che è disposto a mettere in gioco. In sala c’è Daniela, che cura anche la cantina non sterminata ma assai focalizzata, come dovrebbe sempre essere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.