Isbuscenskij, l'ultima carica: l'epopea del Savoia Cavalleria

Isbuscenskij, 24 agosto 1942: il Savoia Cavalleria condusse e vinse, contro truppe sovietiche, l'ultima carica di cavalleria lanciata dall'esercito italiano contro forze regolari nemiche

Isbuscenskij, l'ultima carica: l'epopea del Savoia Cavalleria

Ansa del Don, pochi chilometri dal villaggio di Isbuscenskij, 24 agosto 1942. L'alba lascia presagire una soleggiata mattinata nella steppa russa, sempre uguale a sé stessa e divoratrice di uomini e reparti nella grande campagna orientale dell'Asse. Quel giorno, però, la steppa si sarebbe illuminata delle gesta del Reggimento Savoia Cavalleria. In azione per quella che resterà nella storia come l'ultima carica del Regio Esercito compiuto contro truppe regolari nemiche.

Isbuscenskij è un punto sperduto nella steppa; il Savoia Cavalleria è un punto ancor più minuto nel grande complesso militare che la Germania, l'Italia e i loro alleati (Ungheria, Romania, Slovacchia, Finlandia) mettono in campo dal Baltico al Mar Nero per combattere la macchina da guerra sovietica. Sull'ansa del Don, partecipa alle operazioni Raggruppamento truppe a cavallo "Barbò" (dal nome del suo comandante, il generale Guglielmo Barbò, originario del paesino cremonese di Casalmorano), di cui è parte integrante assieme al reggimento fratello "Lancieri di Novara" e al Reggimento artiglieria a cavallo "Voloire", con il compito condiviso con il resto dell'Armata Italiana in Russia (Armir) di tenere il fianco sinistro delle truppe corazzate tedesche che avanzano verso Stalingrado e il Caucaso. L'inverno inclemente in cui la steppa avrebbe rappresentato la tomba degli italiani in Russia e in cui si sarebbe consumata l'anabasi degli alpini della Julia e della Tridentina appariva lontana. In quella calda estate, l'Asse coltivava ancora speranze di vittoria contro il nemico sovietico.

Il Savoia Cavalleria, piccolo reparto in un minuscolo punto del fronte, era in quel giorno chiamato però a una missione tutt'altro che secondaria: contenere una puntata offensiva di alleggerimento compiuta dall'812º Reggimento di fanteria siberiano oltre il Don per logorare ai fianchi lo schieramento dell'Asse. Il 20 agosto i russi avevano attraversato il Don e sfondato il tratto di fronte tenuto dalla Divisione fanteria "Sforzesca". Il Savoia Cavalleria si posiziona a poco più di un chilometro da uno schieramento di truppe dell'812° reggimento desideroso di avanzare per colpire al cuore le retrovie italiane.

700 cavalleggeri italiani del Savoia si trovavano nella regione di Isbuscenskij a affrontare 2.500-3mila uomini sovietici del reparto appartenente alla 304° Divisione di Fanteria, che si erano posizionate formando un ampio semicerchio in un campo di girasoli, pronte a travolgere gli italiani acquartierati nella steppa poco dopo l'alba. Il colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, comandante di Savoia Cavalleria, ebbe però la prontezza di inviare delle pattuglie in perlustrazione che si trovarono sotto un intenso fuoco sovietico.

Con l'obiettivo di alleggerire la pressione sovietica, Bettoni Cazzago, cavalleggero bresciano classe 1892 e considerato assieme ad Amedeo Guillet uno dei principali esperti del settore nell'Italia del tempo, pensò di utilizzare la più tradizionale strategia della cavalleria per creare confusione tra i nemici: la carica. Inizialmente intenzionato a mandare all'assalto l'intero reparto di cui faceva parte dal 1920 e comandava da pochi mesi, il colonnello fu convinto dal proprio aiutante maggiore Pietro de Vito Piscicelli di Collesano a non impegnare l'intera forza con il rischio dell'annientamento, ma di rivolgersi unicamente al 2° Squadrone comandato dall'audace capitano Francesco Saverio De Leone, 26enne abruzzese di Penne. De Leone, seguito dai suoi sottoposti, ordinò allo squadrone di montare a cavallo e di uscire dal quadrato nella direzione opposta del nemico, simulando una ritirata. Appena scompare dal campo visivo il 2° squadrone compie un'ampia conversione e De Leone lanciò l'ordine "Sciabl-mano".

"Avanti Savoia!". Il grido che sarebbe rimasto nella storia frastornò i sovietici che, intenti ad ingaggiare le pattuglie a cavallo italiane si trovarono senza alcuna previsione attaccati sul fianco. 120 cavalleggeri italiani piombarono armati di sciabole, mitragliette e bombe a mano sul nemico, seminando il panico e lo sgomento tra le truppe di Stalin. L'intuizione dell'attendente di Bettoni Cazzago si rivela, del resto, vincente perché un'altra unità del Savoia, il 4° Squadrone, appiedato viene mandato in avanti a dare sostegno alla carica. "Io vado. 4° Squadrone: baionetta!”. Inizia così la terza fase della battaglia, la più lunga. Appiedati, superiamo d’un balzo gli 800 metri che ci separano dalla quota: dobbiamo ora occupare il terreno. Non possiamo permettere al nemico di riorganizzarsi; dobbiamo andare oltre. I nemici sono tantissimi per noi che siamo solo in 80", ha dichiarato ad Avvenire uno degli ultimi testimoni della battaglia recentemente scomparso, il sergente maggiore Giancarlo Cioffi. Il capitano Silvano Abba, colpito e ucciso nell'azione (riceverà la Medaglia d'Oro al valore militare), guidò l'azione d'alleggerimento mentre De Leone, penetrato nelle linee nemiche, caricava alle spalle i reparti sovietici mandati completamente allo sbando.

Bettoni Cazzago, visto il momento favorevole, liberò le energie residue del reparto: fu convocato il sergente Diego Saccardi e ordinato al 3° Squadrone a cavallo di sferrare una carica frontale superando il 4° Squadrone appiedato. Fu l'azione decisiva. Ingaggiati frontalmente, caricati sullo stesso fronte e con uno squadrone alle spalle capace di muoversi a proprio piacimento, i sovietici lasciarono il campo di girasoli di Isbuscenskij, avvicinandosi alle loro postazioni sull'ansa sul Don.

Per un'intuizione tattica era andata in scena a Isbuscenskij quella che sarebbe stata una manovra mai più ripetuta nel secondo conflitto mondiale. Il 17 ottobre 1942 a Poloj, in Croazia, il Reggimento "Cavalleggeri di Alessandria" avrebbe caricato contro un gruppo di partigiani iugoslavi ma mai più l'Esercito italiano avrebbe mosso le proprie forze a cavallo contro uno schieramento di truppe regolari. Isbuscenskij avrebbe dato un ultimo momento di gloria alla cavalleria nella prima guerra dei caccia a reazione e delle bombe atomiche. Avrebbe a suo modo rappresentato la tragedia del Regio Esercito, lanciato da Mussolini in una guerra colossale contro eserciti dotati di mezzi e risorse maggiori. Sarebbe rimasta una pagina di onore militare importante in una guerra sanguinosa e violenta, in cui l'Armir si ritrovò, in ultima istanza, a soccombere pochi mesi dopo questa impresa. Compiuta in un punto della mappa da un piccolo reparto, non decisiva sul piano militare, che si reggeva su equilibri ben più grandi, ma cruciale sotto il profilo storico.

A emblema del dramma che fu, per l'Italia, la partecipazione al secondo conflitto mondiale. In cui con la generosità e il coraggio degli uomini sul campo spesso il Regio Esercito doveva contrastare, contro forze impari, la pusillanimità degli alti gradi politici e militari.

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