L’«Edipo re» minimalista ci mette ancora a nudo

Al Teatro greco di Siracusa Robert Carsen allestisce una versione grandiosa del classico di Sofocle

L’«Edipo re» minimalista ci mette ancora a nudo

Il dramma, con l’implacabile necessità di un congegno teatrale perfetto, si consuma fra le 19 e 30 - 28 gradi centigradi e 67 ordini di gradini scolpiti nella roccia – e le 21 e 20: un’ora e cinquanta di spettacolo e un prolungamento di undici minuti per gli applausi finali. E i brividi non sono causati soltanto dal leggero vento da Nord-Ovest.

Siracusa, teatro greco, fra il mare e i monti Iblei. Si comincia con l’ultima luce del giorno, si partecipa al tramonto, si finisce che cala la notte.
Va in scena l’"Edipo re" di Sofocle, il dramma dei drammi, la trama delle trame, il più mitico e arcaico dei meandri della psiche umana, il modello stesso di funzionamento del meccanismo tragico, la discesa verso l’inconscio. Edipo – senza conoscere la Verità - è il figlio del re di Tebe, Laio, e di sua moglie, Giocasta. Dopo il suo concepimento un oracolo rivela al sovrano che il nascituro è destinato a uccidere il padre e a giacere con la madre. Gli uomini si affannano perché ciò non si avveri. Eppure, accadrà.

Sviluppo. Edipo uccide un uomo che si rivelerà suo padre, vince la Sfinge, libera Tebe, ne diventa re, sposa Giocasta, il suo popolo gli chiede di liberare la città dalla peste, si cerca l’empio che ne è la causa. Svelamento: «Sei tu l’assassino che cerchi». Un thriller impeccabile, dove il colpevole è l’Uomo. Succede da 2500 anni, ogni anno, ovunque. Fatalmente.

Fato, necessità di accettare il proprio destino, volere degli dèi e indipendenza dello spirito umano: nella tragedia di Sofocle c’è tutto.
L’Edipo re – un giallo antico dai tratti horror in cui è il detective a scoprirsi assassino - venne rappresentato per la prima volta tra il 430 e il 420 a.C. Ora è in cartellone al teatro greco di Siracusa. Ha debuttato il 18 maggio, va in scena fino al 3 luglio una sera sì e una no, alternandosi all’Agamennone di Eschilo firmato da Davide Livermore, e ogni spettacolo è sold out: 4600 posti della cavea tutti occupati, moltissimi giovani, ci sono intere scolaresche, da Reggio Calabria al Veneto (che alla «prima», dopo l’ultimo verso, hanno trasformato il teatro in uno stadio), e molti stranieri, entusiasti e ammirati al di là dell’ostacolo della lingua: spagnoli, francesi, americani... E tutte le sere è un successo straordinario. A suo modo, è un caso: teatrale e culturale. Decine di migliaia di persone di tutte le età e di tutti i Paesi che per un’intera estate celebrano lo stesso rito. Ventagli, tragoidía, camicie bianche di lino, silenzi, sangue, Destino, cecità, buio – Bisogna essere ciechi per vedere chiaramente – e poi cala la notte. La domanda è: sappiamo chi siamo veramente?

La regia dell’Edipo re allestito a Siracusa è di Robert Carsen, canadese, lunga esperienza di regista lirico ma alla sua prima tragedia antica e all’esordio in un teatro greco così magico e straripante. Il testo di Sofocle è stato ritradotto appositamente – lingua pulita e modernissima - da Francesco Morosi, 29 anni, uscito dalla Normale di Pisa: dal precariato universitario all’eccellenza classica. Le scenografie – un’unica scena: statica, imponente, minimalista - è di Radu Boruzescu: una scalinata biancastra, alta 27 metri, speculare alla cavea in cui siede il pubblico e che, idealmente e fisicamente, collega il Palazzo del Potere, là in alto, alla città, la polis, dove si agita il coro, qui sotto: è il popolo di Tebe, 80 attori, vestiti solo in nero, maschi e femmine, giovani e adulti, infatti quel popolo siamo noi. Giocasta è Maddalena Crippa, sempre in bianco, una e trina: madre, amante e moglie. L’indovino Tiresia – lenti a contatto bianchicce, passo incerto, solida presenza scenica, applauditissimo – è Graziano Piazza. Ed Edipo – prova attoriale e anche atletica immensa: fisico, metafisica, e diaframma – è Giuseppe Sartori, 35 anni: comincia in abito nero e camicia bianca slim fit con il battito dei tamburi in sottofondo e finisce nudo e sanguinante salendo i gradini tra la meraviglia del pubblico.

L’Edipo re siracusano firmato da Robert Carsen – un lavoro di sottrazione tanto quanto è sovraccarico l’Agamennone di Livermore: se fossero due abiti il primo sarebbe di Armani, il secondo di Dolce&Gabbana – è un grande spettacolo proprio perché nulla viene concesso allo spettacolo. Il minimo dell’azione, il massimo del testo.

Pietre antiche e senso nuovissimo, il vero protagonista di Edipo sono le parole, scandite una a una, pesantissime, come i destini. Nuda la scena, nudo Edipo quando si ri-conosce, e nuda la parola. Ecco perché tutto è così efficace. «Perché un simile successo? Perché Edipo è il teatro, e perché questo Edipo garantisce il primato assoluto del testo, grazie a una regia purissima», è l’idea che si è fatta Marina Valensise, consigliere dell’INDA, l’Istituto nazionale dramma antico, ossia la fondazione da cui dipende il teatro di Siracusa. E il sovrintendente Antonio Calbi, un uomo che crede nel teatro e da quest’estate anche nei miracoli, non è da meno: «È un Edipo che resterà nella memoria. Una lezione di regia e di interpretazione che restituisce al teatro la sua essenzialità e la sua purezza. Lo spettacolo chiede allo spettatore di condividere il percorso di svelamento, e lo spettatore svolge il proprio compito mescolando emozioni e pensieri fino alla catarsi finale». E il precetto Conosci te stesso rappresenta la morale della tragedia.

Cose notevoli dell’Edipo re siracusano (che ci sentiamo di candidare per il Miglior spettacolo di teatro 2022 al Premio Ubu). Il prologo, quando il coro dei Tebani depone ai piedi della grande scalinata i cadaveri lasciati dalla pestilenza: stracci neri e mascherine chirurgiche sui volti. La scenografia, che ogni sera viene smontata per alternarsi alla messa in scena dell’Agamennone e poi rimontata. Il drink più tragico dell’intera storia del teatro, con Edipo, Giocasta e camerieri in guanti bianchi: «Non ti preoccupare delle nozze con tua madre: molti uomini, infatti, si sono uniti in sogno con la propria madre», gin tonic e katharsis. Le ombre spezzate sulle scale degli attori. Il coro, in abiti neri, che sale le scale citando Golconda di René Magritte. La costante, affannosa e insostenibile ricerca dell’Uomo che vuole conoscere se stesso: Edipo, Cristo, Amleto.

E poi l’uscita di scena di Edipo, il quale eredita il bastone di Tiresia, in mezzo al pubblico: in fondo Edipo è il migliore di tutti noi - ha vinto la Sfinge - ed è il peggiore di tutti noi - si è macchiato di parricidio e incesto - perché Edipo siamo noi.
Domanda: come si fa a recitare sentendo il respiro del pubblico a un metro?

Standing ovation. Che in greco antico si diceva euòi. «Grido di gioia».

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